La caccia alle preferenze in vista delle europee riaccende gli
scontri all'interno del partito. Per Renzi la nomina di una squadra
solida al Nazareno non è più rinviabile
Il governo va. Certo, adesso Matteo Renzi deve mantenere le
promesse, rimpinguando le buste paga dei lavoratori e realizzando quelle
riforme istituzionali, il cui percorso rischia invece di ingarbugliarsi
al senato. È già tanto, ma non basta.
Perché è vero che le prossime elezioni europee agli occhi degli
italiani saranno una sorta di referendum incentrato sulla figura del
premier e che «questa strategia può avere un risultato», come ha ammesso
lo stesso Pier Luigi Bersani a Che tempo che fa.
Ma è altrettanto vero che c’è ancora tanto lavoro da fare per rendere
il Pd una forza credibile agli occhi degli elettori. Per stabilizzare,
cioè, un consenso che in caso contrario rimarrebbe sottoposto ai colpi
micidiali che provengono dalla litigiosità interna. Un lavoro che deve
partire dal Nazareno, dove – al momento – non solo manca un segretario a
tempo pieno, ma è stata decimata, causa trasferimento al governo,
l’intera macchina di comando, nella quale rimangono operativi a pieno
ritmo praticamente i soli Lorenzo Guerini e Stefano Bonaccini. E
l’assenza di Luca Lotti si fa sentire non poco.
Quello che è successo sabato all’assemblea regionale nel Lazio è solo
un esempio. Dietro alla pessima immagine di delegati che vengono alle
mani, ci sono fratture ormai radicate tra le diverse correnti,
personalismi e avversioni difficili da estirpare, che si acuiscono alla
vigilia di una tornata elettorale importante, come quella delle prossime
europee. Dove le preferenze – memento per il dibattito sull’Italicum – esasperano gli scontri correntizi a scapito dell’immagine unitaria del partito.
Un problema che il Pd (e in particolare la sua maggioranza interna)
si trova ad affrontare soprattutto nel centrosud. Che sia vero o no che
dietro il caos laziale ci sia il tentativo di Goffredo Bettini di
stringere un asse con il potente deputato lettiano Marco Di Stefano, per
potenziare il proprio bacino elettorale in vista della candidatura alle
europee, è evidente che lo scontro tra le diverse componenti si sia già
acceso, con il ruolo non indifferente del governatore Zingaretti che,
in caso di endorsement esplicito al “turco” Roberto Gualtieri,
come si ipotizza, rafforzerebbe la sua possibile leadership alternativa a
quella di Renzi (è la speranza di molti esponenti della minoranza).
Nella circoscrizione sud, al netto della probabile deroga concessa a
Gianni Pittella per un quarto mandato, già si segnalano attriti tra il
preannunciato capolista Michele Emiliano e l’uscente, che spera nella
riconferma, Andrea Cozzolino. In Sicilia, infine, l’ex segretario
Giuseppe Lupo punta alla rivincita del congresso, sfidando il renziano
Marco Zambuto e il cuperliano Antonello Cracolici, che alle primarie
marciarono uniti portando alla vittoria Fausto Raciti.
Niente di irrimediabile, a patto che al Nazareno sia presto operativa
una macchina organizzativa che marci a pieno regime. Una questione che
Renzi non può più rinviare, né per l’ovvia priorità delle questioni di
governo, né per attendere chi nella minoranza chiede tempo per accettare
un coinvolgimento negli organismi dirigenti.
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