Riccardo Imberti
8 settembre 2015
In questi giorni è stato diffuso il
dato sul versamento volontario del 2 per mille e la bella sorpresa è
stata che 549.196 Italiani hanno scelto di destinarlo al partito
democratico.
Naturalmente c'è stato chi nel partito
anche su questo ha trovato modo di fare polemica contro la
segreteria: non ci facciamo mancare proprio nulla. Ancora, nei
giorni scorsi D'Alema in un intervista al Corriere della Sera, ha
denunciato lo scollamento tra iscritti ed elettori dal Pd dichiarando
che con l'avvento di Matteo Renzi: “è avvenuta una cosa più grave
di una rottura politica; una rottura sentimentale” intendendo che
il segretario resta un corpo estraneo alla tradizione della “ditta”.
Poi mi è capitato di partecipare alla
chiusura della festa nazionale del partito, domenica a Milano e la
numerosa folla presente, non solo ha manifestato nei confronti di
Matteo Renzi un consenso indiscutibile, ma nei passaggi in cui
richiamava il ruolo del partito e la necessità di una maggiore
responsabilità da parte del gruppo dirigente il consenso si è
trasformato in ovazione.
Certo, in questa occasione, il
segretario ha voluto parlare al cuore dei dirigenti, militanti e
iscritti in maniera diretta, come suo uso, senza allusioni ma in modo
schietto, come ormai ci ha abituato da tempo, ma certamente, con il
discorso di domenica, se ce ne fosse stato bisogno, ha riconfermato
che il pd a guida renziana si colloca a tutto tondo nella tradizione
del centro sinistra italiano. Dall’appoggio senza riserve al terzo
settore alla lotta senza quartiere al caporalato, dalle politiche di
accoglienza alla cooperazione internazionale, dai diritti civili alla
cultura e alla formazione, non c’è tema tradizionalmente di
sinistra che Renzi non abbia affrontato, fatto proprio e indicato
come priorità di governo nel quadro più generale della
modernizzazione e della ripartenza dell’Italia.
Questioni che da anni attendono
risposte e che nessuno prima di lui ha voluto o saputo affrontare non
solo da parte dei governi di centrodestra ma, purtroppo anche da
quelli di centrosinistra.
Nel momento in cui l'Italia, dopo anni,
sta dando segni seppure ancora deboli, di ripresa vi è chi ancora
fatica a digerire l'esito di un congresso e anziché contribuire al
rafforzamento dell'opera riformista in tutti i modi cerca di
ostacolarne il cammino, arrivando a teorizzare persino la scissione
del Pd.
Come ho avuto modo di esprimere in
tante occasioni, il partito non è un atto di fede, ma bensì uno
strumento e come tale non deve rappresentare un dogma, ma quando non
si tratta di questioni riconducibili alla coscienza, il rispetto
delle regole diventa un fatto necessario che richiama ognuno alla
propria responsabilità anche quando le scelte della maggioranza non
sono condivise.
Prima, durante e alla ripresa della
stagione politica, dopo che Civati, Fassina e per ultimo Casson, se
ne sono andati si è aperta con due anni di anticipo la stagione
congressuale. Almeno così pare di fronte al fiorire delle
candidature. Sono usciti alcuni nomi di persone che, non contente
della gestione del partito e del Governo, vogliono sfidare Matteo
Renzi. Roberto Speranza ex Capogruppo alla Camera, Enrico Rossi
Presidente della Regione Toscana, Michele Emiliano Presidente della
Puglia, Nicola Zingaretti Presidente della Regione Lazio.
In attesa che l'elenco si allunghi c'è
da sperare che ognuno nel frattempo faccia al meglio il lavoro per il
quale è stato eletto perchè anche questo contribuisce ad accrescere
il consenso al Partito Democratico anche se, resto convinto, che il
grande valore aggiunto in questa stagione difficilissima per il
nostro Paese, sia rappresentato dalla determinazione e dalla carica
impressa in questo anno e mezzo di governo dal nostro segretario
nazionale.
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