17 settembre 2015
Quando si parla di contrattazione e
modello contrattuale, bisognerebbe parlare con chi i contratti li
rinnova. Il modello tedesco proposto da Landini - che, in
estrema sintesi, prevede la contrattazione annuale del salario - non
ha nulla a che vedere con il modello contrattuale esistente in
Germania e non tiene conto neanche di peculiari criticità del nostro
Paese. Non può essere diversamente, del resto, visto che dal 2001 -
in quattordici anni - su sei contratti nazionali la Fiom ne ha
firmati solo due, e dal 2010, da quando cioè è stato eletto
Landini, neanche uno. Certo, meglio uno come Landini che ci prova,
prendendo qualche cantonata, che chi, come la sua Confederazione,
passa dal “non vi sono le condizioni per un nuovo modello
contrattuale” a “rinnoviamo i contratti, poi vediamo”.
Vediamolo, quindi, il vero modello
contrattuale tedesco. In Germania i lavoratori hanno quattro
possibilità: i contratti di Land, derogabili anche sul salario; i
contratti aziendali, alternativi ai contratti di Land; i regolamenti
aziendali non concordati con il sindacato, sopra i minimi legali; i
minimi salariali legali. Il Contratto Nazionale tedesco,
insomma, non è nazionale, bensì è un contratto di Land
(regionale): solitamente si parte con la contrattazione nella regione
del Baden-Wurttenberg, la più ricca e solida dal punto di vista
industriale. Firmato quel contratto, tutti gli altri Lander tedeschi,
con alcune piccole differenziazioni, seguiranno. I contratti sono
stipulati dalla Ig-Metall, sindacato unico dei metalmeccanici
tedeschi e dalla Federmeccanica tedesca.
Come in Italia, il contratto siglato si
applica alle aziende associate. Il vero problema, in questo senso è
che ha perso rappresentatività nel corso degli anni: se negli anni
’80 del secolo scorso, la copertura garantita dai contratti
collettivi raggiungeva l’80%, nel 2010 era scesa al 60% e oggi è
attorno al 50% nell’ex Germania ovest, e al 40% a est. Per legge i
contratti si applicano ai soli iscritti alla Ig-Metall, che sono gli
unici a partecipare al voto sugli accordi o alla decisione sugli
scioperi.
Ciò che Landini forse ignora - o finge
di ignorare - è che la contrattazione in Germania non dura un anno,
bensì quanto, di volta in volta decidono le parti: a volte hanno
addirittura superato i due anni e mezzo. Se ultimamente il contratto
ha avuto durata annuale è per adattarsi alle difficoltà della crisi
e ai momenti successivi di risalita. Quest’anno i lavoratori
tedeschi hanno portato a casa il 3,4% di stipendio in più
(incremento superiore all’inflazione) ma ad aprile 2009 il
contratto dei metalmeccanici non fu aumentato nemmeno di un euro.
I metalmeccanici del Baden-Wurttemberg
e del Nord Reno - Westfalia hanno firmato un nuovo pacchetto di
accordi centrati sulla salvaguardia dell’occupazione e sulla
formazione invece che sulla crescita retributiva
L’accordo, peraltro, consentiva anche
di raddoppiare la durata dei contratti a tempo determinato da due a a
quattro anni. Nel nord Reno-Westfalia, ha introdotto uno “staffing
pool” che ha consentito di affittare temporaneamente i lavoratori
di un’impresa con surplus di personale a quelle che invece stavano
registrando delle carenze. I metalmeccanici del Baden-Wurttemberg e
del Nord Reno - Westfalia, nel febbraio 2010, hanno firmato un nuovo
pacchetto di accordi centrati sulla salvaguardia dell’occupazione e
sulla formazione invece che sulla crescita retributiva.
Dal 2004, con l’accordo di Pforzheim,
sono previste ampie possibilità di deroga al contratto di Land.
Inizialmente solo per crisi, mentre oggi la casistica si è
generalizzata. Pertanto, l’azione di decentramento contrattuale può
produrre nuove norme che possano essere decise a livello locale tra
il management e il consiglio di fabbrica. Queste regole devono poi
essere approvate dall'associazione imprenditoriale Gesamtmetall e dal
sindacato IG Metall, esattamente come avviene per i metalmeccanici
italiani. In Italia è prevista analoga possibilità di deroga
anche dal contratto nazionale del lavoro dei metalmeccanici -
firmato da Fim-Uilm nel 2009 - solo per casi di crisi o piani di
investimenti, su aspetti specifici del contratto. Questa scelta - poi
recepita da Cgil-Cisl-Uil nel 2014 col testo Unico sulla
rappresentanza - provocò la mancata firma della Fiom al contratto
nazionale che disse in tutti i talk (e in qualche fabbrica) che
avevamo «cancellato il contratto nazionale». In Germania,
infine, le deroghe ai contratti e i “patti aziendali per
l’occupazione” consentono deroghe anche sul salario, cosa non
prevista dal nostro contratto nazionale Fim-Uil.
La contrattazione nazionale dei
metalmeccanici si applica a 1.700.000 lavoratori. Di fatto, si
applica a tutti i lavoratori del settore, tranne quelli di Fca
(Fiat), Case New Holland Italia e poche altre aziende. Si applica
erga omnes a tutti i lavoratori. A livello salariale recupera solo
l’inflazione per la fortissima eterogeneità delle aziende dentro
la categoria, per andamento economico, redditività del settore,
taglia dimensionale. La perdita di ruolo del contratto tedesco, è
dovuta proprio a questo: che pur essendo molto flessibile verso
l’alto e il basso, quando distribuisce risorse e supera
l’inflazione, ci inserisce quote di produttività medie, che
scontentano chi ne fa di più e spingono a uscire dal contratto chi è
in crisi, come è avvenuto. Ecco allora il contratto aziendale: le
grandi imprese applicano solo la contrattazione aziendale che in
larga parte è alternativa al Contratto di Land. Ha avuto un maggiore
ruolo dal 2004 con il decentramento e soprattutto nella
contrattazione difensiva per la crisi, ma non ha aumentato la sua
copertura.
Di fatto, la contrattazione collettiva
ha quindi lasciato scoperto un settore ampio e crescente di
lavoratori. Al punto che, differentemente da quanto è accaduto da
noi, il sindacato ha rivendicato la necessità di un salario minimo
legale. Tuttavia l’obiettivo riguardava proprio la copertura di
settori più deboli di quello industriale e, per l'appunto, la fuga
che le riforme Hartz agevolavano dalla contrattazione collettiva. La
legge è stata votata nel 2014 ed è partita dal 1 gennaio 2015. Il
salario minimo tedesco è pari a 8,5 euro lordi l’ora. Tuttavia,
presenta molte aree non coperte, cosa che nell’immediato ha
provocato una dura reazione del sindacato tedesco: il salario minimo
già non era applicato ai disoccupati di lunga durata, a chi ha meno
di diciotto anni e agli apprendisti. Adesso le eccezioni valgono
anche per i lavoratori stagionali per chi distribuisce giornali, per
chi fa un tirocinio obbligatorio, mentre quelli che lo fanno
volontariamente dovranno aspettare tre mesi prima di accedervi.
La norma, però, è molto importante
per i cosiddetti mini-job perché si calcola che il 65% dei
lavoratori con questa forma di assunzione era sotto questa soglia
salariale. Da questo punto di vista ha rappresentato un argine ad
alcuni eccessi delle riforme Hartz del 2004. Anche qui, il sistema in
realtà sembra essere aggirato in più modi: caso più comune di
aggiramento del salario minimo orario è quello che riguarda
lavoratori impiegati per più ore di quelle che poi vengono
ufficialmente conteggiate. Il lavoratore, ovviamente, non dice nulla
per evitare di essere licenziato. Per questi abusi, la Dgb (la
confederazione sindacale tedesca) ha dovuto istituire un call
center. Al momento, nell’Unione Europea, il salario minimo legale è
applicato da 22 Stati membri sui 28 dell’Unione Europa. Manca
l’Italia, in cui la contrattazione collettiva, copre l’85% dei
lavoratori. Che è molto più della copertura con i minimi legali
degli altri 22 paesi.
In Germania è stata la partecipazione
alla vita dell’impresa, tipica di una vera democrazia industriale,
a consentire la difesa e poi il rilancio del sistema industriale,
dell’occupazione e dei salari
Cosa dobbiamo importare, allora, dal
modello contrattuale tedesco? Probabilmente, il modello di
relazioni industriali. Le cosiddette riforme Hartz indirizzate al
mercato del lavoro e realizzate dal Governo di Gerhard Schröder non
sono state determinanti nel processo che ha portato al miglioramento
della competitività dell’industria. È stata la partecipazione
alla vita dell’impresa, tipica di una vera democrazia industriale,
a consentire la difesa e poi il rilancio del sistema industriale,
dell’occupazione e dei salari.
La Cisl ha proposto lo scorso 21 luglio
uno schema di riforma del modello contrattuale che prevede un
contratto nazionale «più votato alle tutele generali normative e
salariali» e che «difenda il potere d'acquisto dei
salari». Proponiamo un rafforzamento della contrattazione di
secondo livello aziendale e territoriale, con «l'istituzione di un
salario di garanzia» che renda molto oneroso per le aziende non fare
la contrattazione di secondo livello. Il contratto territoriale, là
dove non ci sono le condizioni per la contrattazione aziendale, non
può essere visto come un contratto aziendale dilatato nel
territorio, bensì come un accordo che tenga insieme, aree, filiere,
sistemi locali attorno ad alcuni obiettivi sfidanti e a welfare
integrativo. Territoriale o aziendale che sia, è lì la sede propria
per la contrattazione di produttività.
La contrattazione territoriale può
rivitalizzare le malconce relazioni industriali territoriali,
rientrate in azienda per le occasioni espansive e centralizzate tutte
al ministero dello sviluppo economico in quelle difensive. Tutto
ciò, insieme ad un rilancio e a un ripensamento di una nuova
bilateralità che in certi aspetti, è un ritorno alle origini, può
portare la stragrande maggioranza di lavoratori invisibili - 85 su
100 nel 2014 assunti con contratti precari -di nuovo nei monitor
dell’azione sindacale e della tutela contrattuale.
E poi dai tedeschi dobbiamo imparare
anche come si riducono le sigle sindacali e i contratti: la
confederazione dei sindacati tedesci (Dgb) ha avviato una revisione
organizzativa che ha portato alla fusione di diverse federazioni
sindacali, tanto che le categorie affiliate si sono ridotte da 17 a
8. Anche la Cisl dal 2013 ha avviato lo stesso percorso. Vale anche
per i contratti: In Italia ne abbiamo ottanta nel solo settore
industriale, per un totale di 708.
La proliferazione delle sigle sindacali
e dei contratti sono uno degli elementi di maggiore debolezza delle
relazioni industriali italiane. Proliferazione che degrada le istanze
su una china corporativa, tipica della concorrenza tra sigle. Che
produce inconcludenza e irresponsabilità nei processi decisionali
sindacali. Sono aspetti su cui in Germania hanno scelto con nettezza
da anni. A questo proposito, in Fca è stato sottoscritto un accordo
che rafforza esigibilità e principio di maggioranza nelle decisioni
delle rappresentanze sindacali aziendali. Serve anche altrove,
per dare ruolo nei processi decisionali ai lavoratori iscritti al
sindacato. Nella storia dei metalmeccanici, lo strumento del
referendum ha riguardato non più di un terzo degli aventi diritto.
Negli accordi di categoria per disciplinare la “consultazione
certificata” bisogna avere più coraggio e meno demagogia
plebiscitaristica, in cui la (finta) democrazia diretta serve per
paralizzare ogni percorso costruttivo.
In Italia paternalismo aziendale e
antagonismo hanno compresso ogni sviluppo della contrattazione
La partecipazione del lavoro
organizzato, non solo attraverso la presenza nei Comitati di
Sorveglianza delle imprese è un fattore di successo di tutto il
sistema tedesco. Per il management avere controparti sindacali
coinvolte nei processi decisionali, informate e preparare, alza il
livello di sfida per la sostenibilità complessiva del sistema (ciò
è ampiamente dimostrato da un’indagine del Max Planck Institute).
In Italia paternalismo aziendale e antagonismo hanno compresso ogni
sviluppo della contrattazione. Serve il salto di qualità. Gli svevi,
gli abitanti del Baden-Württemberg, la regione di Pforzheim, sono
lenti, concreti, orientati al risultato. Dietro al successo di
questi dieci anni ha giocato la presenza di due sole controparti, il
pragmatismo, la fiducia reciproca, un idea condivisa di bene
comune.
Il welfare integrativo, infine. Una
nuova frontiera di sviluppo a livello territoriale e aziendale, che
si può integrare, per esigenze di scala e specificità locali e
aziendali, su sanità, previdenza integrativa. Nel nord Europa
il sindacato si occupa della transizione scuola/lavoro, pre-iscrive
gli studenti delle scuole superiori, garantisce loro un
accompagnamento, formativo, di orientamento, utile non solo alla
ricerca del lavoro, ma per poter avvicinare il più possibile lo
sbocco professionale alle aspirazioni di ragazze e ragazzi. Su questo
il sindacato italiano deve cimentarsi sull’offerta di nuovi servizi
che aiutino i ragazzi a sentirsi meno soli in una fase cruciale per
il loro futuro.
Per andare verso le smart factory,
quelle con l’internet delle cose, servono la smart union, sindacati
intelligenti
Qui la sfida si chiama industry 4.0.
Per andare verso le smart factory, quelle con l’internet delle
cose, servono la smart union, il sindacato intelligente. Capace di
capire che stavolta, se non anticipiamo il cambiamento, non solo lo
subiremo, ma ne saremo esclusi. Per questo la Fim ha avviato un
iniziativa dal luglio all’Expo con i maggiori esperti e ha avviato
un progetto di ricerca con il Politecnico di Milano. Il gap di
competenze del lavoro italiano, il ruolo del sistema formativo, sono
ipoteche gravi che si sgretolare, quelle si, importando in Italia un
sistema formativo duale simile a quello del nord europeo. Ci
sono strumenti nuovi, altri da importare, altri ancora già presenti
nel nostro paese e dei quali basterebbe recuperare il senso
originario. Di revival si muore: mettersi in discussione è il primo
passo.
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