Federico Gnech
Devo essere davvero diventato un
reazionario col botto come pensa, facendomelo intuire, qualche mio
conoscente. Non riesco a spiegarmi altrimenti perché, di fronte agli
incontri dei landiniani di Coalizione Sociale e dei civatiani di
Possibile, al netto di ogni sarcasmo, mi rimanga soltanto uno
sgradevole senso di nausea. Non vorrei essere frainteso: si tratta di
quel tipo di nausea che ti prende con quei cibi e quelle bevande che
in una certa occasione ti hanno fatto stare malissimo, e che il tuo
corpo da quel momento rifiuta.
Sono abbastanza cresciuto da ricordare
tutte le scissioni, le costituenti, i cantieri, i laboratori e le
coalizioni della sinistra rosso-verde degli ultimi vent’anni. Ho
già dato su quel versante, non ho lo stomaco – né, soprattutto,
le stesse idee – dei tanti amici e conoscenti che ad esempio qui a
Venezia approfitteranno della sconfitta del Senatore Casson per
rinforzare le palizzate del loro Fort Apache. Che cosa debba
diventare questo fortilizio, non è del tutto chiaro.
Che i frondisti del PD possano
(ri)costituirsi in partito appare bizzarro, avendo essi rifiutato
l’idea stessa di partito rifiutando la sconfitta alle primarie e il
conseguente cambio di segreteria e di linea. All’assemblea di Roma,
Civati ha del resto definito Possibile come «un esperimento nuovo
[sic] che avrà una formula, delle strutture anche organizzative
diverse dal solito», «una ramificazione di comitati molto piccoli,
molto versatili, collegati tra loro, che possano discutere, votare
delle cose [sic]».
Alleato naturale di Possibile, la
“coalizione sociale” di Landini – un sindacalista che non tenta
nemmeno di scalare il proprio sindacato, ma punta direttamente a
nazionalizzare le industrie – sembra ancor meno destinata alla
forma partito. Può forse voler dire qualcosa la presenza di vecchie
glorie dell’operaismo quali Piperno e Scalzone – per inciso,
rappresentanti di un’area che coi metalmeccanici, qualche decennio
fa, comunicava a colpi di Hazet 36.
Infine SEL, l’unico partito
tradizionale del lotto, nato con l’intenzione dichiarata di
riempire il «drammatico vuoto a sinistra» creatosi dopo la
fondazione del PD, ma che in sei anni è riuscito a riempire soltanto
un buchino del 3% – «siamo minoranza numericamente, ma minoritari,
francamente, no», sostiene Fabio Mussi – del quale tenderà a
presidiare gelosamente i confini, almeno sinché converrà a
Vendola e ai suoi pretoriani.
I due movimenti e il partitino
personale potranno forse dare origine a un cartello elettorale
pronto, nella migliore delle ipotesi, a prendersi un 8-10% alle
elezioni o, nella peggiore, a ripetere la disfatta della Sinistra
Arcobaleno. Tanto più che la Sinistra arcobaleno (per l’esattezza:
la Sinistra l’Arcobaleno) appariva politicamente ben più omogenea
della “cosa” di sinistra che eventualmente verrà.
All’incontro di Possibile, Pippo
Civati ha infatti invitato una rappresentanza dei Radicali, e ha
citato i liberali tout court tra le componenti politiche che il nuovo
soggetto dovrebbe riuscire ad attrarre. Essendo Civati, come
sappiamo, un liberale di sinistra riposizionatosi tatticamente, la
cosa non dovrebbe stupire.
Non stupirà nemmeno vedere dei
liberali partecipare alle manifestazioni e firmare appelli assieme ai
catorci di AutOp, eventualità già presentatasi altre volte
nella prima come nella seconda repubblica, in situazioni di
“emergenza democratica” vera o immaginaria, dagli anni di
piombo sino al ventennio berlusconiano.
Il collante che tiene insieme
visioni così diverse è in effetti sempre la presenza di un
grande nemico pubblico/nemico del popolo, ruolo che oggi Renzi
incarna alla perfezione, meglio di quanto non abbia mai fatto lo
stesso Berlusconi. Com’è noto, la sinistra massimalista
ama impiegare tutte le proprie capacità di mobilitazione contro
il “nemico interno”, il “socialfascista” o il riformista
“subalterno al neoliberismo”.
Soltanto pochi anni fa, anche Prodi
veniva etichettato così da qualche attuale alleato di
Civati. E non importa che i civatiani abbiano fondato una vera e
propria mistica prodiana ai tempi dei “101” e della seguente
arlecchinata di #occupyPD, perché per ora il rancore personale verso
Renzi, riassumibile nel «nemmeno una telefonata» ascoltato e letto
più volte in queste settimane, basta ad eliminare ogni spiacevole
contraddizione.
Renzi è il vero fulcro e motore di
tutte le iniziative politiche a sinistra del PD, per questo,
fossi in Pippo Civati, non mi augurerei una caduta troppo rapida del
rottamatore. Capisco che l’eventualità di una vittoria delle
destre non rappresenti per gli antirenziani un disincentivo, ma
qui si tratta di non scomparire. Perché se finisce Renzi,
finisce anche la colla che tiene insieme i pezzi della Sinistra dei
Puri.
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