Corriere della Sera del 03/09/15
Aldo Cazzullo
Intervista a Massimo D'Alema
«Sono appena tornato dall’Arabia
Saudita, e sono rimasto colpito dalla percezione terribile
dell’Europa: un continente diviso, preda di febbri populiste,
incapace di governare un’emergenza in cui abbiamo anche noi le
nostre responsabilità. L’Europa ha contribuito a destabilizzare la
regione: per quello che ha fatto, con guerre e interventi militari; e
per quello che non ha fatto, disinteressandosi delle conseguenze».
Presidente D’Alema, l’Italia tenta di internazionalizzare
l’emergenza migranti. A che punto siamo?
«È un tentativo
apprezzabile. Si comincia a capire che occorre uno statuto europeo
del rifugiato, che le frontiere italiane, greche, ungheresi sono
frontiere dell’Unione e spetta all’Europa presidiarle. Ma occorre
un salto di qualità. Quando ci fu la crisi in Kosovo, non facemmo
nessun vertice: ci parlammo al telefono, distribuimmo i profughi: 30
mila in Italia, 40 mila in Germania, 150 mila in Albania assistiti
con i soldi nostri. Non si videro barconi. Nessuno affogò. Ma era
un’altra Europa. Con valori comuni».
Tra i valori in crisi ci
sono quelli del socialismo europeo. Lei ha sostenuto che i socialisti
scompaiono se si allineano ai conservatori, come ad Atene, e reggono
se dialogano con i radicali, come a Madrid. Ma la sinistra radicale
lei l’ha sempre combattuta. E ora il Pd dovrebbe inseguirla?
«La situazione è ben diversa dal 1996. Allora si trattava di
liberare la sinistra dallo statalismo e di arricchirla con aspetti
positivi del liberalismo. Oggi siamo dopo la grande crisi della
globalizzazione neoliberista. E il riformismo socialista non riesce a
ridurre disoccupazione e disuguaglianza. Ecco perché sorge il
populismo, e sorge una sinistra di tipo populista, che non va confusa
con l’estremismo. Podemos non ha nulla a che vedere con i gruppetti
estremisti».
Ma secondo una lettura diffusa Renzi fronteggia gli
stessi nemici che fronteggiò lei: le rigidità sindacali, gli
antiberlusconiani militanti…
«Raffigurare la storia italiana
come se berlusconismo e antiberlusconismo si fossero annullati in una
litigiosità inutile, senza produrre nulla, è una raffigurazione
falsa. Il centrosinistra produsse importanti cambiamenti. Abbiamo
fatto la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, le
privatizzazioni e le liberalizzazioni, la politica estera nei Balcani
e in Libano. Abbiamo portato l’Italia nell’euro».
E avete
avuto grandi fallimenti.
«Altre cose non ci sono riuscite. Ma
rappresentare questi vent’anni come una lunga rissa in cui a un
certo punto appare Renzi è una sciocchezza pubblicitaria. Al
contrario, Renzi dovrebbe riconoscere quel che ha avuto in eredità.
Tra gli elementi che contribuiscono alla crescita del Pil c’è
l’Expo, che Renzi ha ereditato dal governo Prodi, senza avere il
buon gusto di dire almeno grazie. Mi ha colpito l’atteggiamento
sgradevole nei confronti del suo predecessore. Enrico Letta ha messo
in sicurezza il Paese. E Renzi ne parla in modo inutilmente
sprezzante».
Anche lei ha avuto modi sprezzanti.
«È vero e
infatti ho sbagliato. Lo riconosco. E ho pagato un prezzo per questo.
Ma posso essere stato spigoloso; non sono cattivo, né vendicativo.
Io ho difeso con spigolosità le mie idee; non ho mai massacrato le
persone. Ho avuto con Veltroni e Prodi un confronto politico franco.
Ma ho indicato io Veltroni come vicepresidente del Consiglio. E
quando Prodi cadde in modo drammatico, e non certo per mia
responsabilità, l’ho indicato io come presidente della Commissione
europea. Soprattutto, non ho mai svilito la nostra storia comune,
come sta facendo Renzi. È vero che in passato il centrosinistra ha
conosciuto divisioni. Ma oggi si rischiano lacerazioni ben più
drammatiche».
Il Pd è a rischio scissione?
«Sono stato
coperto di insulti per aver fornito in un dibattito qualche dato
oggettivo: nei sondaggi siamo precipitati dal 41% al 32; e le
regionali hanno confermato la tendenza. Per ordine dall’alto è
iniziato un linciaggio di tipo staliniano. Il Pd sta abbandonando
molti valori della sinistra, ma non i metodi dello stalinismo. Oggi i
trotzkisti da fucilare se il piano quinquennale falliva vengono
chiamati “gufi”. E siccome Palazzo Chigi ha una certa influenza
sui media, vari commentatori sono intervenuti per dirmi che non si
possono paragonare le Regionali alle Europee. Sono cose che credo di
sapere. Paragoniamo allora le Regionali 2015 alle precedenti. Abbiamo
perso 330 mila voti in Emilia, 315 mila in Toscana, 150 mila in
Veneto e in Campania. In tutto sono un milione e 300 mila».
È
cresciuta l’astensione.
«È vero; ma soprattutto nelle Regioni
rosse. Gran parte dell’elettorato rimasto a casa era nostro. In
campagna elettorale mi sono preso gli insulti di molte persone cui
dicevo di votare il Pd; adesso mi insultano dall’altra parte. Il
vicesegretario del mio partito dice che faccio polemiche di basso
livello. Ma qui è basso il livello dei voti. Dio acceca coloro che
vuole perdere».
Ripeto: il Pd è a rischio scissione?
«Non
è a me che deve fare questa domanda. Mi occupo di politica
internazionale. Non ho problemi, non cerco cariche…».
La si
sospetta invece di acrimonia personale, per non aver avuto la carica
di alto rappresentante per la politica estera europea.
«È
falso, e glielo dimostro. Io lavoro a Bruxelles, e collaboro
lealmente con Federica Mogherini, che apprezzo molto».
Torniamo
al rischio scissione.
«L’attuale Pd non ha rotto solo con la
tradizione della sinistra, ma anche con una parte importante del
cattolicesimo democratico. In questo modo ha lasciato molto spazio ad
altre offerte politiche. Ora il Pd è a un bivio. O ricostruisce il
centrosinistra. Oppure crea un listone con il ceto politico uscito
dal berlusconismo. Ho visto un sondaggio che dice che con questo
listone, o come è stato elegantemente definito rassemblement,
avremmo meno di voti di quelli che raccoglierebbe da solo il Pd».
Sta dicendo che bisognerebbe cambiare la legge elettorale?
«Sì.
La legge è stata costruita per un Pd al 40%; oggi rischia di
diventare una trappola mortale. Il ballottaggio sarebbe tra Renzi e
Grillo; e dubito che i leghisti voterebbero Renzi. Farsi la legge
elettorale su misura porta sfortuna: chi ci ha provato, compreso
Berlusconi, ha perso. Sarebbe saggio evitare questa roulette russa,
che rischia di consegnare il Paese neanche a una maggioranza, ma a
una minoranza populista».
Non vorrei sembrarle insistente, ma se
si dà il premio elettorale alla coalizione anziché alla lista,
allora nel Pd diventa possibile una scissione da sinistra.
«Questo deve chiederlo a Speranza o a Cuperlo. Io sto dicendo
un’altra cosa. Qui è in gioco l’assetto del sistema democratico.
Se si sceglie una legge elettorale che sacrifica la rappresentanza
alla governabilità, allora bisogna riequilibrare il sistema con
garanzie, contrappesi, tutela dei diritti fondamentali dei cittadini:
a cominciare dall’elezione diretta dei senatori. Lo stesso vale per
la riforma fiscale. Un conto è tagliare le tasse sul lavoro e sulle
imprese; un altro è tagliare le tasse sulla casa ai benestanti.
Quello fu uno dei terreni di sfida tra Prodi e Berlusconi. Renzi ha
scelto la posizione di Berlusconi».
Renzi sostiene che sta
facendo le cose che lei aveva intenzione di fare, dalle riforme
istituzionali al superamento dell’articolo 18. Avete in comune pure
il dialogo con Berlusconi, e lo scontro con gli antiberlusconiani.
Come quello che lei sostenne al Palasport di Firenze con Paul
Ginsborg, all’apice della stagione dei girotondi.
«Berlusconi
nel 2001 venne in elicottero a Gallipoli per cacciarmi dal
Parlamento. Nel 2013 mi disse che non avrebbe mai potuto votarmi per
il Quirinale perché a destra ero considerato il peggiore avversario.
Ricordo bene il confronto pubblico con Ginsborg. Lui aveva scritto
nei suoi libri cose diverse da quelle che avevo scritto nei miei. Ma
il confronto delle idee richiede che ci siano delle idee».
Renzi
le rinfaccia che non può difendere l’Ulivo l’uomo che a Gargonza
lo affossò.
«Io non sono mai stato un ulivista nel senso
ideologico del termine. A Gargonza contrastai l’ideologia della
supremazia della società civile sulla politica: tema di una certa
attualità. Ma l’Ulivo io contribuii a costruirlo e portarlo al
governo, con oltre il 40%: al di sopra del livello massimo del Pd
attuale».
Che effetto le fa vedere quasi tutti i suoi
collaboratori di un tempo schierati con Renzi? Rondolino, Velardi…
«Velardi si schierò già con Lettieri e la Polverini».
…Latorre, Orfini.
«Mi fa un certo effetto di tristezza.
Colpisce la solerzia con cui alcuni si impegnano nelle polemiche
contro di me. Anche questo appartiene al metodo staliniano: fare
attaccare i reprobi dai vecchi amici, dai familiari».
Renzi ha
torto anche quando dice che l’alternativa a lui non è un Pd più a
sinistra, è Salvini?
«Questo è lo scenario che lui preferisce.
Ma bisognerà vedere se nel centrosinistra emergerà nel prossimo
futuro una personalità in grado di contendere a Renzi la leadership.
Non bisogna sottovalutare un fatto. A destra la legge della
convenienza funziona. A sinistra no. A sinistra è più forte la
legge della convinzione».
Che cosa intende dire?
«Che è
avvenuta una cosa più grave di una rottura politica; una rottura
sentimentale. Un parte degli elettori di sinistra hanno rotto con il
Pd, e difficilmente il Pd li potrà recuperare. Io ho litigato con
molte persone che mi hanno detto: “Non vi ho votato e non vi voterò
mai più. Non siete più il mio partito”. E non lo dice un gufo; lo
dice uno che resta nel Pd, seppur maltrattato. Sarebbe saggio
cambiare tono. Perché c’è qualcosa in Renzi che va al di là
delle scelte politiche; è proprio questo tono sprezzante e
arrogante, verso le persone del nostro stesso mondo, verso la nostra
stessa storia. Berlusconi e Bossi si insultarono, si querelarono, ma
il giorno dopo per convenienza si misero d’accordo. A sinistra
questo non può accadere. Siamo fatti diversamente».
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