Corriere della Sera 02/09/15
Luigi Accattoli
La scelta informale di Francesco, ma la
dottrina non cambia.
Un testo informale per decisioni forti:
la lettera di ieri sull’indulgenza giubilare ha il tono dimesso e
nuovo dell’apparizione di Francesco al balcone dopo l’elezione.
Come quando scrive ai nuovi cardinali per richiamarli alla sobrietà,
o quando dice a braccio ai vescovi italiani che occorre ridurre il
numero delle diocesi, così per il «perdono» giubilare (indulgenza
vuol dire perdono) dice di più dei predecessori senza ricorrere al
latino e senza citare i sacri canoni.
Le decisioni che comunica
con un testo in italiano, firmato «Francesco», sono tutte nel segno
dell’avvicinamento della Chiesa all’umanità tribolata (donne che
hanno abortito, malati, persone sole e anziani, carcerati) e nel
segno della semplificazione del linguaggio e delle norme. Ma non è
una bolla, non è un motu proprio , non è una «lettera apostolica»,
esce da tutte le forme della tradizionale decretazione pontificia: è
una lettera all’arcivescovo Fisichella, responsabile organizzativo
del Giubileo. In pratica, una comunicazione di servizio.
Per
l’aborto c’è la scomunica e dunque ordinariamente il confessore
dirà alla donna che ha interrotto la gravidanza: non posso
assolverti, vai dal vescovo. Già i vescovi potevano concedere a
tutti i sacerdoti, negli Anni Santi e in altre occasioni, la facoltà
di assolvere quel peccato. Ma qualcuno lo faceva e qualcuno no: con
la decisione di ieri il Papa ha dato a quella facilitazione la
massima estensione.
«Non dobbiamo porre dogane, dobbiamo essere
facilitatori della Grazia», ha detto una volta Francesco. Con questa
disposizione non tocca la dottrina sulla gravità del «peccato
d’aborto», che qualifica come un atto «profondamente ingiusto»,
ma vuole che nei mesi del Giubileo si dia un segno più ampio di
comprensione per chi ne sia pentito.
Lo stesso per i carcerati:
non possono andare in pellegrinaggio, ma forse possono andare alla
cappella del carcere, o comunque hanno una porta che chiude la loro
cella; ebbene, dice Francesco con un salto simbolico di straordinaria
efficacia: ogni volta che passeranno per la porta della cella, «possa
questo gesto significare il passaggio della Porta Santa».
Per le
carceri Francesco non chiede formalmente «una grande amnistia», pur
usando queste parole, ma forse la chiederà prossimamente. Il
documento di ieri si limita a ricordare che la tradizione vedeva
legati fra loro i giubilei e le amnistie: ieri parlava alla Chiesa,
forse un giorno parlerà alle autorità degli Stati, come già
Wojtyla nel 2000 e chiederà «un gesto di clemenza».
La lettera
di Francesco è il documento papale con meno forma e più sostanza
che sia mai stato fatto sul perdono giubilare, che una volta era
anche detto «perdonanza». Esso potrebbe anche avere un effetto
liberante rispetto allo spinoso tema delle indulgenze, che sono state
all’origine della «protesta» di Lutero e che divide oggi gli
stessi teologi cattolici tra quanti le ritengono imprescindibili e
quanti le vorrebbero abbandonare.
Francesco le propone, ma con
tale novità di linguaggio e di contenuti da sottrarle, almeno in
parte, alla polemica. Non dice «lucrare» o «acquistare
l’indulgenza», come voleva il linguaggio tradizionale, non
distingue tra indulgenza parziale o «plenaria», usa la parola
indulgenza come sinonimo di «grazia del Giubileo». Insomma riduce
ancora, più di quanto non avessero fatto gli ultimi Papi, gli
elementi rituali e normativi di questo aspetto della prassi
penitenziale cattolica che arriva con il secondo millennio della
storia cristiana e che risulta ostica ai cristiani che non
appartengono alla Comunione dei fedeli.
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