Fabrizio Rondolino
L'Unità 22 settembre 2015
Il noto costituzionalista Marco
Travaglio si dedica oggi all’esame della relazione di Renzi
alla Direzione del Pd, muovendo da una premessa improntata come
sempre al dialogo e all’ascolto: “Quando [Renzi] affronta il
tema del Senato, è come se il cazzaro che è in lui riprendesse
il sopravvento, portandolo a dire asinerie da ripetente di prima
elementare”.
Dopodiché si lancia nella confutazione
di dieci affermazioni del premier, mescolando com’è sua
abitudine pere e mele, mezze verità e autentiche sciocchezze, commi
della nostra Costituzione citati al di fuori del contesto e
brandelli di regolamento parlamentare, chiacchiere da bar e
ingenuità da questurino. La conclusione della grande ribollita è
già contenuta nel titolo del breve saggio: “Le 10 balle blu”.
Ecco, il punto è tutto qui: Travaglio
può dire e scrivere quello che vuole, e le sue opinioni danno
forma, come quelle di chiunque altro, al dibattito pubblico, che vive
per l’appunto di polemiche e contrasti. Ma si tratta di
opinioni, non di verità; e quelle del suo avversario sono opinioni
altrettanto legittime, non “balle blu”.
La caratteristica fondamentale di ogni
discussione, dai tempi di John Locke, risiede precisamente nella
rinuncia dei contendenti a pretendere di essere i soli custodi della
verità: perché la verità non può esistere se non come
interpretazione, approssimazione, esperimento.
E’ così per la scienza, che pure
dipende dai fatti assai più della politica, figuriamoci se
non dev’essere così quando si parla di riforma del Senato. Lo
zelo di Travaglio è il peggior nemico delle sue argomentazioni:
se accettasse di esprimere un punto di vista, e
spontaneamente rinunciasse all’infallibilità divina, sarebbe
persino un piacere discutere con lui.
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