La bandiera
palestiense sventolerà sul Palazzo di Vetro. La risoluzione
approvata ieri ha scatenato l’ira di Israele, irritato anche dalla
mozione del Parlamento europeo che introduce etichette
differenti per le merci provenienti da Israele e per
quelle prodotte nelle colonie ebraiche nei Territori
palestinesi occupati.
Con una netta maggioranza (119 sì su
193 Paesi, tra cui l’Italia), l’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite ha approvato la risoluzione che dà alla Palestina, e agli
altri Paesi con lo status di osservatore non membro, il diritto di
issare la propria bandiera sul Palazzo di Vetro a New York.
E sempre ieri è arrivata la decisione
del Parlamento europeo di introdurre etichette differenti
per le merci provenienti da Israele e per quelle prodotte
nelle colonie ebraiche nei Territori
palestinesi occupati e nelle Alture del Golan
occupato. La mozione è passata con 525 voti a favore, 70 contrari e
31 astenuti. I consumatori europei potranno dunque sapere se un
prodotto israeliano arriva dalle colonie illegali della Cisgiordania,
di Gerusalemme est e del Golan. E gli accordi tra l’Unione europea
e Israele non potranno essere applicabili ai territori occupati nel
1967.
La reazione israeliana non si è fatta
attendere in entrambi i casi. Da tempo Tel Aviv ostacolava,
spalleggiato dagli Stati Uniti, la risoluzione dell’Onu, che ha un
valore più che altro simbolico. Ma per il diplomatico israeliano Ron
Prosor si tratta di “uno sfacciato tentativo di sequestrare le
Nazioni Unite”. Una decisione “insensata” e “insignificante”,
per i leader ebraici che hanno fatto pressione su Ban Ki-moon nelle
settimane precedenti al voto. È certamente un gesto simbolico, ma i
palestinesi lo considerano un ulteriore tassello nel mosaico
diplomatico che cercano di comporre per ottenere un pieno
riconoscimento dello Stato di Palestina. La Palestina ha ottenuto nel
novembre 2012 lo status di osservatore non membro all’Onu. Alla
fine dello scorso anno ha inoltre presentato una risoluzione per il
suo riconoscimento pieno, nei territori occupati da Israele nel 1967,
con capitale Gerusalemme Est, che però non ha ricevuto sostegni
sufficienti per essere votata dai 15 paesi membri del Consiglio di
Sicurezza. Lo scorso maggio, invece, il Vaticano, l’unico altro
Stato con lo status di osservatore non membro alle Nazioni Unite, ha
firmato il primo trattato con lo Stato di Palestina. Tuttavia, in
questa occasione la Santa Sede ha avuto un atteggiamento diverso, ha
ribadito di non essere un co-sponsor dell’iniziativa dell’Olp e
di aver non ancora deciso se la sua bandiera sarà issata.
L’inviato palestinese all’Onu,
Riyad Mansour, ha definito il voto un barlume di speranza per i
palestinesi, mentre il processo di pace è morto e Gaza è soffocata
dall’embargo: “È una cosa simbolica, ma è un altro passo per
consolidare i pilastri dello Stato palestinese nell’arena
internazionale”. La bandiera palestinese dovrebbe sventolare sul
Palazzo di Vetro il 30 settembre, in occasione del discorso del
presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, all’Assemblea Generale.
Stizzita la reazione israeliana anche
dopo il voto del Parlamento europeo sulle etichettature. Il portavoce
del ministero israeliano degli Esteri, Emmanuel Nahshon, ha definito
la mozione “discriminatoria”, in “odore di boicottaggio”,
mentre il premier Netanyahu ha parlato di scelta “iniqua” che
minaccia il processo di pace. Un dialogo che però è morto da tempo,
anche per l’ostinazione di Tel Aviv a proseguire e a intensificare
la costruzione di insediamenti ebraici sulle terre palestinesi.
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