Rudy Francesco Calvo
L'Unità 29 settembre 2015
Un raid aereo degli Usa sostiene la
controffensiva del governo locale, dopo la conquista da parte dei
Talebani della città di Kunduz. Mentre l’Isis avanza anche qui
La missione compiuta in
Afghanistan era solo una finta. Dopo l’Iraq, dopo la Libia, ancora
una volta la comunità internazionale si trova a fare i conti con una
polveriera rimasta tale anche dopo la fine dei bombardamenti, dopo
che le truppe hanno lasciato quelle valli infernali, dopo che i media
hanno ritirato gli inviati e staccato le telecamere.
Il rientro in patria dei militari
occidentali, salutato con gioia dall’oltranzismo pacifista, ha
lasciato infatti un Paese tutt’altro che pacificato, con il governo
del presidente Ghani ancora non in grado di gestire la situazione e
forze di polizia che faticano non poco a mantenere la sicurezza. Il
tentativo di intavolare una trattativa ufficiale con i Talebani, se
possibile, ha esacerbato ancora di più la situazione: se da una
parte il mullah Mansour (successore di Bin Laden alla guida dei
fondamentalisti) ha accettato di sedersi al tavolo, dall’altra
i suoi uomini hanno aumentato e reso più cruenti i loro attacchi,
per acquisire più forza diplomatica.
La conquista ieri della città di
Kunduz, in una delle province afghane in cui è più radicata la
presenza talebana, ha segnato l’apice della loro offensiva, la
prima vera e più grande vittoria sul campo da quando gli Usa e gli
alleati hanno iniziato la guerra, come reazione all’attentato
dell’11 settembre. La controffensiva delle forze governative è già
partita, per provare a riconquistare la città, con il supporto di un
raid compiuto in mattinata dalla forze aeree statunitensi.
Un intervento che arriva a pochi giorni
dall’appuntamento già fissato per la prossima settimana al Senato
di Washington per decidere cosa fare dei 10mila soldati Usa ancora
presenti sul territorio. Nell’ambito della missione Isaf della
Nato, rimangono ancora in Afghanistan anche 750 militari italiani,
con tanto di mezzi di manovra, di supporto, di aerei da
trasporto e di alcuni elicotteri. Il loro compito è quello
di assistere le istituzioni politiche provvisorie afghane nel
mantenimento di una sicurezza, che in realtà non c’è mai stata.
A complicare ancora di più la
situazione, si è aggiunta l’avanzata dell’Isis, che secondo un
recente report delle Nazioni Unite sarebbe ormai presente con propri
nuclei combattenti in 25 delle 34 province afghane, tra le forze
giunte da Siria e Iraq e quelle autoctone. Un radicamento che pone i
militanti del Califfato in concorrenza anche con gli stessi Talebani,
tra i quali starebbero però conquistando in parte simpatie e forze.
Al centro della contesa c’è il controllo della coltivazione e
dell’esportazione illecita dell’oppio, altro problema mai
debellato in questo Paese.
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