lunedì 7 settembre 2015

Ma a che cosa sono serviti i nostri Erasmus?


Corriere della Sera 06/09/15
Nathania Zevi
Caro direttore, mi chiamo Nathania Zevi e ho trent’anni. Faccio, non senza difficoltà e imprevisti, il lavoro che amo, ho un figlio, una famiglia allargata e molti altri sogni. Circa otto anni fa ho trascorso un semestre universitario a Madrid nell’ambito del programma Erasmus. Mesi meravigliosi. Notti brave, incontri con colleghi provenienti da ogni Paese europeo, voglia di conoscersi, confrontarsi, parlare l’uno la lingua dell’altro. Un’esperienza unica, che ritengo cruciale nella formazione della mia coscienza e della mia identità. Ebbene, direttore, di fronte alle immagini sconvolgenti quanto quotidiane delle nostre coste, dei nostri mari, dei nostri bambini che affogano con le mani fredde e il cuore gelato non posso fare a meno di chiedermi: in che modo siamo stati cresciuti per essere la «generazione Erasmus»? A cosa sono serviti gli «appartamenti spagnoli»? Per quale scopo e con quale obiettivo abbiamo stanziato i fondi necessari a mandarci, giovani e pieni di speranza, in Europa? Abbiamo forse investito tanto per trovarci oggi a essere cittadini e attori di un’ Europa insensibile, ipocrita, chiusa, razzista e in taluni casi forse assassina? Siamo davvero andati solo per poi raccontare agli amici a casa delle tapas mangiate, dei troppi cocktail bevuti o delle nostre avventure amorose internazionali? Cosa facciamo oggi delle lingue che abbiamo imparato? E cosa con gli amici ungheresi o inglesi che sentiamo via Skype o andiamo a trovare con aerei low cost? Cosa ne è di tutta questa ricchezza? È il momento di decidere se siamo un fallimento o rappresentiamo un’opportunità. Nel primo caso, appurata la nostra incapacità di essere generazione ponte e veicolo di un’Europa funzionante, non sarebbe meglio devolvere i fondi che il programma Erasmus e altri affini non hanno saputo sfruttare per creare una generazione europea degna di questo nome a chi ne ha più bisogno? Chi dice che la mia generazione sta solo subendo questa situazione sbaglia. A trent’anni o sei parte della soluzione o sei il problema. La mia religione, ebraica, impone di aiutare i nostri vicini. La nostra storia di perseguitati, migranti, profughi, ci guida a una memoria che deve diventare azione. Se quindi — come spero — la nostra esperienza europea vale qualcosa; come trentenne, madre, ebrea, ma soprattutto come individuo, desidero agire e mi aspetto che anche il nostro governo, i nostri rappresentanti europei e il nostro presidente Matteo Renzi, nella sua posizione istituzionale, generazionale, ma anche come padre, cattolico e individuo ci guidi nel trasformare le nostre azioni individuali (l’Italia è patria di populismi e razzismi ma anche di generosità infinite) in un grande movimento generazionale. È il nostro momento, altrimenti l’Erasmus e l’Europa senza confini non hanno avuto e non hanno alcun significato.

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