Corriere della Sera 04/09/15
Danilo Taino
Sotto un tiglio, di fronte alla sede
della Croce Rossa tedesca della Düppelstrasse, sudovest di Berlino,
tre ragazzi siriani aspettano l’ora dell’appuntamento con un
volontario dell’Alleanza di Benvenuto per i Rifugiati. Hanno in
tasca documenti scritti in tedesco, lingua che non conoscono, pezzi
di burocrazia da compilare. Chi li riempirà è uno dei quasi 400
cittadini che aiutano il migliaio di rifugiati del quartiere.
Steglitz-Zehlendorf, zona benestante dove la Willkommensbündnis für
Flüchtlinge fa opera di accoglienza, organizza una colletta
periodica da una lista di oltre mille abitanti e distribuisce il
denaro ai nuovi arrivati, assieme ad abiti e giocattoli. Solidarietà
militante.
A Monaco, invece, la solidarietà è esplosa d’un
tratto, martedì. Alla stazione, la polizia ha dovuto bloccare i
volontari che arrivavano per dare una mano ai rifugiati entrati
dall’Ungheria e dall’Austria. Troppi. E ha chiesto ai cittadini
di non portare più aiuti — cibo, acqua, abiti, medicine: il salone
destinato a raccoglierli si era riempito in poco tempo. Non che le
autorità si fossero mobilitate: qualche ora prima, i profughi non
trovavano nulla e nessuno ad aspettarli, ma via via che i treni
arrivavano la popolazione si è mossa. È un movimento spontaneo, di
base, mai visto prima in queste dimensioni, quello che sta
attraversando la Germania 2015, anno della grande ondata dei
rifugiati. Da mesi, a Berlino, ad Amburgo, a Colonia, si moltiplicano
le collette spontanee, pubbliche e private: semplici signore
organizzano reti di conoscenti che si impegnano a versare dieci,
venti euro al mese che poi andranno a sostenere una famiglia siriana,
afghana, kosovara. «Sono persone in fuga, hanno bisogno di tutto, in
particolare di sapere che non devono avere paura», dice Christina
Linze, che ogni mese raccoglie alcune centinaia di euro per una
famiglia afgana nella zona di Viktoria-Luise Platz, a Berlino.
Prima che Angela Merkel parlasse, prima che la politica scendesse in
campo (in ritardo) per cercare di dare una scossa all’Europa troppo
illusa di essere una fortezza, i tedeschi si erano già mossi. Oggi,
dopo che la cancelliera ha deciso di aprire le porte a tutti i
siriani in fuga e ha ribadito che il diritto di asilo è un pilastro
del Paese, i sondaggi dicono che il 60% dei tedeschi è convinto che
la Germania ce la possa fare ad accogliere gli 800 mila richiedenti
asilo che si prevede arriveranno quest’anno, che forse saranno di
più e che nel 2016 cresceranno ancora. È questo movimento spontaneo
— che non si fa propaganda, non ha obiettivi di partito, non vive
di ideologia ma di solidarietà — che sta facendo della fine
dell’estate 2015 un momento di svolta che cambia la Germania agli
occhi suoi e degli altri.
Non è la Coppa del mondo 2006, dove il
Paese divertiva, organizzava e veniva ammirato. È qualcosa di
profondo: è la Germania che ha cambiato pelle, quella Germania che
settant’anni fa produceva profughi oggi dà asilo a chi fugge dalla
guerra. È un Paese che durante la crisi greca era giudicato egoista
e oggi chiede agli altri di mostrare solidarietà. E che, caso
straordinario, per motivi umanitari (e politici e economici) non
rispetta le regole che aveva sottoscritto, l’ormai derelitto
accordo di Dublino.
Non sarà una festa di gala. Gli scontenti e
gli xenofobi ci sono e si fanno sentire. I neonazisti hanno bruciato
un centro di accoglienza a Heidenau e altri in diverse città.
Questo, però, è forse il problema minore, di fronte alla sfida
della marea di migranti che vogliono vivere a Monaco e ad Amburgo.
Secondo dati forniti da funzionari del Land Baviera, in agosto sono
entrati in Germania 104.460 richiedenti asilo. Dall’inizio
dell’anno 413.535. Fiumi di umanità che possono destabilizzare
intere comunità. Il governo ha stanziato più di un miliardo per
fare fronte all’emergenza, ma servirà altro. Secondo il ministro
del Lavoro, la signora Andrea Nahles, rispondere con decenza alla
pressione dei previsti 800 mila arrivi costerà quest’anno tra 1,8
e 3,3 miliardi. Ma uno studio di Deutsche Bank calcola che il costo
annuo sarà di 7,3 miliardi. Si tratta di trovare alloggi, nutrire,
dare assistenza e poi lavoro. Dal 2016, calcola Frau Nahles, 240-260
mila immigrati entreranno nel sistema di sicurezza sociale; dal 2019,
un milione. Si dovranno organizzare scuole per centomila ragazzi che
non conoscono una parola di tedesco. E, prima, occorrerà stabilire
chi ha diritto di asilo e chi no; anche smantellare il racket di
passaporti siriani falsi che è già in funzione.
È una sfida.
Dal punto di vista finanziario, sostenibile. «Siamo nella fortunata
posizione di non essere a corto di denaro», ha ricordato il ministro
delle Finanze Wolfgang Schäuble, che quest’anno ha riportato il
bilancio pubblico in surplus: per rammentare, a chi in Europa l’ha
criticato, l’importanza di avere conti in ordine quando arrivano le
emergenze. Ma per un Paese a demografia negativa, con carenza di
lavoratori, è anche un investimento. Ci sono oggi in Germania 46
milioni di persone in età da lavoro: senza nuova immigrazione, in
trent’anni scenderebbero a 29 milioni. A luglio, i posti di lavoro
offerti e non coperti erano 600 mila: da ingegneri ad alta
specializzazione a parrucchieri e infermieri. Il governo studia una
nuova legge sull’immigrazione, per facilitare l’ingresso nel
mondo del lavoro di chi arriva, per ragioni umanitarie o in cerca di
opportunità. Gli occhi del mondo sono sulla Germania: è forse la
sua più grande sfida del dopoguerra.
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