Il Corriere della Sera 7 aprile 2014
L’AFGHANISTAN HA PARLATO E HA RIFIUTATO IN
BLOCCO I MILITANTI VIOLENTI DEL MULLAH OMAR. MA IL PAESE HA DAVANTI A
SE’ UN PERIODO DI GRAVI INCERTEZZE
E’ stato un voto contro i talebani. Tra le tante interpretazioni
emerse e che verranno elaborate delle elezioni presidenziali afghane di
sabato almeno una è assodata: chi è andato alle urne lo ha fatto a suo
rischio e pericolo, sfidando apertamente le minacce talebane. Negli
ultimi tempi avevano attaccato la sede della commissione elettorale
centrale, sparato sui commissari delle province, persino assaltato
l’hotel Serena nel cuore della capitale. Ma non è servito: oltre 7
milioni si sono messi in fila ai seggi. Quasi tre milioni in più delle
presidenziali nel 2009. E’ questa una semplice verità ripetuta da un
piccolo rivenditore di testi scolastici incontrato ieri nel mercato
popolare di Kabul: “I talebani volevano che disertassimo le urne. Invece
ci siamo andati molto più numerosi del previsto. Ovvio che hanno perso.
La loro assenza è stata la loro sconfitta”. Emerge così un dato
sostanziale di speranza per i sostenitori della democrazia in
Afghanistan: i talebani costituiscono certamente una forza militare
notevole, come tutti i gruppi violenti organizzati composti da militanti
fanatici e ben finanziati, persino sostenuti dall’estero, possono
causare danni enormi e destabilizzare il Paese, tuttavia la grande
maggioranza della popolazione non sta con loro. Tutt’altro, se aiutata
dalle forze dell’ordine e posta nelle condizione di scegliere
un’alternativa ragionevole, è pronta a rischiare la vita pur di non
ricadere sotto il loro giogo.
Ma, attenti ai facili entusiasmi. Difficoltà anche più gravi
cominciano ora, con l’avvio di una fase estremamente delicata. Le prime
indicazioni pongono Abdullah Abdullah candidato in testa con ampio
margine. Però, facilmente si andrà al ballottaggio. E proprio allora i
talebani potrebbero tornare a colpire più duri che mai, questa volta
affondando il coltello in un sistema eroso dalle sue debolezze interne.
C’è chi dice abbiano risparmiato le forze al primo turno per essere più
aggressivi al secondo, che è quello decisivo. Gli afghani hanno votato,
ma la fiducia verso il sistema politico e i suoi leader è minata dalla
corruzione galoppante in tutti i settori. Sui social network locali
crescono dubbi sugli scrutini. Già fioccano le accuse di brogli e
irregolarità. La strada resta in salita. Lo abbiamo già visto in Iraq:
non basta votare per fare una democrazia.
Una delle ipotesi avanzate tra i circoli diplomatici occidentali a
Kabul è che i due candidati in competizione possano decidere di evitare
un secondo voto. Un po’ come avvenne nel 2009 tra Hamid Karzai e
Abdullah Abdullah per evitare le violenze e le incognite di nuove
elezioni. Non è affatto detto che il successo del voto di sabato scorsa
debba ripetersi. In questo caso sarebbe meglio un governo di coalizione
e magari con la bendizione discreta di Karzai. Tra le ipotesi in
considerazione è la creazione della figura di un primo ministro forte,
che faccia da contrappeso a quella del presidente. Dalle ultime
indiscrezione pare che Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani abbiano ottenuto
risultati simili, attestati ognuno sul 40 per cento delle preferenze.
Zalmai Rassoul, che era il cavallo di battaglia di Karzai, sembra invece
il perdente. Karzai avrebbe già preso contatti discreti con Ghani, che è
comunque il candidato più vicino al voto pashtun. Va aggiunto che nel
voto del 2014 ha contato meno la discriminante etnica-religiosa. Il
vecchio principio per cui chi è in grado di caralizzare il voto pashtun
vince non sembra più valida. Per esempio, a Kandahar, tradizionalmente
roccaforte pashtun conservatrice, tanti avrebbero votato Abdullah
Abdullah, che, pur avendo il padre pashtun, è visto come paladino dei
tajiki (l’etnia della madre) e della vecchia Alleanza del Nord nemica
dei talebani.
La grande sfida del nuovo presidente sarà comnque trattare con gli
americani le modalità del ritiro Nato e soprattutto il profilo del loro
contingente destinato a rimanere oltre il 2014 per addestrare le forze
di sicurezza afghane. Il Paese ha bisogno di essere rassicurarto sulle
incognite del post-Isaf. Pochi credono che possa stare in piedi da
solo, nonostante il succeso del voto di sabato.
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