mercoledì 2 aprile 2014

Cosa vuole il “correntone”

Vito Costa 
Europa  

Conviene far pesare al premier quei gruppi parlamentari "non suoi" che gli facciano sudare il passaggio delle riforme. Per ottenere cosa? Il controllo del partito
Diceva Mao Tse-tung che «la rivoluzione non è un pranzo di gala». Ecco, oggi di certo non siamo in presenza di una rivoluzione, ma altrettanto certo è che le riforme che sta tentando di portare avanti Matteo Renzi rappresentano un punto di svolta storico per il paese, come ulteriormente certa è la levata di scudi di un sistema che di quelle riforme ha parlato per almeno trent’anni senza mai realizzarle e rendendole così oggi più urgenti che mai.
Urgenza che nemmeno oggi viene colta, a volte osteggiata oppure scambiata, volontariamente o meno, per mera ambizione personale. Alla quale opporre dei no speculari, ovvero conditi da motivazioni che in certi casi mal celano un più credibile “perché lo fa Renzi”. Ma scendendo più in profondità in questa analisi e osservando le mosse di questi giorni è possibile distinguere due fronti principali nell’opposizione a Matteo Renzi.

La prima si riassume nel celebre slogan «abbiamo la costituzione più bella del mondo», il cui ovvio sottotitolo recita “e quindi non si tocca”. Si tratta dei più noti costituzionalisti del paese, che nei giorni scorsi hanno redatto e sottoscritto un accesissimo appello contro l’abolizione del senato, che vede tra i firmatari, oltre a Gustavo Zagrebelsky, anche Stefano Rodotà, il quale nel 1985  firmava invece una proposta di legge costituzionale per il superamento del bicameralismo perfetto in favore, si legge, del monocameralismo puro.
Trent’anni per cambiare idea sembrano un tempo sufficiente, ma il dubbio che si tratti di un’opposizione meramente politica è quantomeno legittimo. Tanto più se Rodotà non è il solo tra quei firmatari ad aver fatto dietrofront, dal momento che anche Gaetano Azzariti, in tempi molto meno lontani, si esprimeva con decisione per quella riforma costituzionale contro la quale oggi sottoscrive un appello dai toni catastrofisti. Appello seguito a strettissimo giro dalle interviste rilasciate a Repubblica e a In mezz’ora dal presidente del senato Piero Grasso, in piena continuità con l’appello stesso e spalleggiato anche dalle dichiarazioni di Laura Boldrini: «I costituzionalisti di peso vanno ascoltati».
Unendo questi puntini sembra chiaro quantomeno il tentativo di un’azione di logoramento da parte di ambienti che a Matteo Renzi non hanno mai guardato con favore e che oggi, di fronte alle sue riforme, paventano una “deriva autoritaria” anzichè avanzare correttivi tecnici e proposte di merito. Una tesi, quella della deriva autoritaria, che forse nasce dalla scarsa abitudine a confrontarsi con l’attitudine al fare anzichè con quella del parlare.
L’altro fronte principale che emerge nell’opposizione al governo Renzi è quello politico e non è da andare a ricercare nell’opposizione vera e propria, quanto più in quel Partito democratico il cui segretario fa perfettamente rima col governo: Renzi.  Il “correntone” si sta organizzando sotto la spinta del segretario uscente Epifani e del capogruppo alla camera Roberto Speranza, il cui ruolo di rappresentanza di un intero gruppo parlamentare forse stride un pochino con l’opportunità della sua presenza da protagonista a una riunione di corrente. Nell’ombra paiono muoversi anche Bersani e Letta, i fedelissimi dei quali erano tra i più numerosi alla riunione di ieri sera. A distinguersi invece resta Gianni Cuperlo, che ciò che ha da dire lo dice in sede di direzione nazionale e poi, se la sua linea non passa, si accoda alle decisioni della maggioranza senza venire meno in parlamento alla disciplina di partito della quale è rispettoso discepolo.
Difficile tuttavia che il “correntone” aspiri a una caduta del governo sulla riforma del senato o su quella del lavoro: ciò significherebbe la prospettiva di elezioni anticipate (e quindi tutti a casa) nell’eventuale presenza di una legge elettorale però valida unicamente per la camera. Ergo, si finirebbe a creare il quarto governo consecutivo non eletto dal popolo, il quale popolo potrebbe questa volta vedere la misura definitivamente colma, come oltremodo colme di voti sarebbero a quel punto le tasche del Movimento 5 Stelle. No, al correntone non conviene la caduta di Renzi.
Conviene invece far pesare al premier quei gruppi parlamentari “non suoi”, di derivazione bersaniana, che gli facciano sudare il passaggio delle riforme. Lo scopo? Ottenere qualcosa in cambio. Che cosa? Il controllo del partito. Guglielmo Epifani del resto è stato chiaro due domeniche fa dalla Annunziata: «Il congresso è finito, Renzi è stato segretario per due mesi e poi è diventato premier, occorre ora colmare un vuoto che si è creato all’interno del Pd». Un vuoto al quale il correntone pare abbia preso le misure e che voglia ora andare a occupare, anche per compensare quella maggioranza renziana che regna nella direzione del partito e che lo fa sembrare, a loro detta, il comitato elettorale del presidente del consiglio.

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