venerdì 4 aprile 2014

«Il groppo in gola quando ho visto il tank Il Veneto non può vivere nel rimpianto».


Corriere della Sera del 04/04/14
Andrea Pasqualetto

Stupito e sospirante, il conte Pietro Marzotto li guarda come un padre guarda il figlio svitato: «Che qualche rotella non funzioni in quelle teste è sicuro ma io penso che in fondo sia gente onesta».

 Cinquanta serenissimi impegnati in un progetto rivoluzionario che parte da un carrarmato fatto in casa e fabbrica un cannone vero gli sembra «più un carnevale che qualcosa di terroristico, con le armi però non si scherza…». Non bisogna sottovalutare, dice, il problema di fondo: «Il diffuso malessere della gente che non sopporta più questo Stato opprimente, dove non funziona nulla, che dice cento cose e ne fa una, che ostacola chi produce, chi esporta, chi importa, chi fa…». 

All’indomani della retata parla dunque il padre nobile del Veneto imprenditoriale, settantasei anni, a lungo presidente del gruppo tessile di Valdagno.

 
Dottor Marzotto, che cosa prova di fronte a questi nostalgici indipendentisti pronti alle armi per liberare Venezia?

 
«Quando ho visto quelle immagini mi è venuto da sorridere con un groppo alla gola. Proprio così: ho sorriso per l’assurdità dei loro ideali, così anacronistici e impraticabili. Mi spiace invece molto per la situazione che si è venuta a creare perché penso siano brave persone, lavoratori con figli e famiglie sulle spalle».

 Gli inquirenti parlano di gente determinata, di piani militari, di altri blindati in cantiere. Emerge anche dalle intercettazioni.  
Solo una carnevalata?

  
«Per carità, se i magistrati hanno deciso di arrestarli avranno le loro buone ragioni che io non discuto, non conoscendo bene le circostanze. È l’idea di base che considero poco seria. C’è anche una punta di spirito avventuriero, forse un po’ di romanticismo, certamente di follia. Io comunque conosco un Veneto diverso, molto più solido e concreto che non ha nulla da spartire con queste cose».

Insomma, lei non si sente un serenissimo.

«Ma per favore, io sono un europeista convinto e penso che la Serenissima repubblica sia morta e sepolta con il trattato di Campoformio del 1797, parliamo di oltre due secoli fa. A chi rimpiange quei tempi ricordo che gli ultimi cent’anni della Repubblica di Venezia furono pure poco floridi, con una componente mafiosa non indifferente. In ogni caso preferisco la società moderna: oggi si sta meglio rispetto al 1800 e anche a cinquant’anni fa, nonostante l’ultimo decennio sia stato duro. Bisogna guardare avanti, non indietro, e cercare con decisione di rimuovere l’immobilismo che sta esasperando tutti».

 Centinaia di imprese venete hanno chiuso i battenti, decine di imprenditori e artigiani suicidi. I gruppi separatisti trovano terreno fertile, non crede? 


«Non è una questione solo veneta: è lombarda, piemontese, ligure, emiliana… Tocca l’intero Paese ma soprattutto l’area più produttiva e siccome il Veneto, dopo il sonno dell’immediato dopoguerra, si è messo a correre veloce ora si trova a frenare bruscamente».


Un consiglio ai venetisti?


«Di lasciar perdere la rivoluzione, che non siamo un paese di golpisti. Queste azioni sono anche controproducenti perché distraggono l’attenzione dalle riforme. Guardino a chi propone di trasformare l’Italia in fretta e senza tanti trattori, mitragliette e forconi. Io sono per Renzi, per il suo coraggio, per la sua determinazione. Basta soloni, basta parrucconi, basta professori. Siamo ingessati da anni…».

 
Cosa dice al primo serenissimo che incontra?

 
«Ma va là, va là, mona, vien qua».




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