venerdì 25 aprile 2014

Se fosse Renzi a far saltare il tavolo

Stefano Menichini 
Europa  

Dietro all'opposizione alla riforma del senato si vede ormai chiaro un disegno di ridimensionamento del premier. Questo potrebbe spingere lui a rifiutare compromessi al ribasso, e a scatenare un'offensiva anche all'interno del Pd.
Tutti nel mondo politico si chiedono quale possa essere il punto di compromesso che Matteo Renzi potrebbe considerare accettabile per far passare almeno un avanzo della sua riforma del senato. Rischia di essere la domanda sbagliata. A meno che il premier non cambi idea rispetto a una convinzione riproposta con forza da mesi, forse dovremmo interrogarci sul conflitto politico – quanto distruttivo, contro quali obiettivi – che Renzi potrebbe scatenare una volta che la strada di palazzo Madama si confermasse per lui impraticabile.
Sapevamo fin dal giorno del patto del Nazareno che le riforme costituzionali sarebbero state molto più difficili del varo della legge elettorale, e che la fedeltà di Berlusconi alla parola data sarebbe stata spesso oscillante. Era evidente nei giorni del battesimo parlamentare del governo Renzi che l’aula del senato, da lui certo non blandita, si sarebbe rivelata ostile e resistente. E si è capito da tanto tempo che all’interno del Partito democratico c’è chi non considera affatto prioritaria la salute della famosa “ditta”, non apprezza i livelli di consenso al quale Renzi la sta conducendo, non ha alcuna intenzione di prendere atto dell’opinione degli elettori delle primarie e – in conclusione – più di ogni altro obiettivo persegue quello del ridimensionamento del segretario del partito e presidente del consiglio.
Noi stessi su Europa abbiamo più volte sottolineato la necessità che su tutti i testi di riforma istituzionale, compreso l’Italicum, fosse giusto soffermarsi, ragionare, emendare, aggiustare, riequilibrare. È vero che le istituzioni devono funzionare secondo una logica unitaria, con pesi e contrappesi ben calcolati, con tutte le clausole di garanzia necessarie, e nei progetti presentati dal governo non tutto era convincente sotto questi aspetti.
A questo punto del conflitto aperto da una minoranza del Pd appoggiata dalle forze d’opposizione (non stupisce affatto l’asse che da Grillo arriva a Berlusconi passando da alcuni senatori dem) c’è l’impressione che non si tratti più di interventi nel merito delle riforme. Sostanzialmente, i senatori (spalleggiati con comprensibile entusiasmo e interessata dedizione dalla tecnostruttura di palazzo Madama) vogliono azzoppare fin dal primo passaggio la riforma che doveva abolire il bicameralismo, banalmente salvando il bicameralismo medesimo, cioè l’essenza di ciò che Renzi propone di abrogare forte di un vasto consenso popolare, specifici deliberati del suo partito e molti anni di dibattito tra esperti. Berlusconi e Grillo prendono al volo l’occasione di ferire un avversario elettorale che si sta rivelando micidiale per entrambi.
Non ci sono i numeri in parlamento per fare altrimenti, dicono gli stessi che si stanno dando da fare per comporre numeri favorevoli. Può darsi. Renzi non può rischiare una bocciatura in piena campagna elettorale europea, dunque l’iter della legge rimarrà aperto. Ma credo che stia valutando la convenienza di alzare il tono dello scontro. Imperniare una parte consistente del proprio appello agli elettori sulla denuncia di resistenze, ostruzionismi, conservatorismi. Creare un clima per cui i voti che prenderà il 25 maggio saranno poi rovesciati sugli oppositori, innanzi tutto quelli interni. E c’è chi gli suggerisce (ieri Roberto Giachetti) di passare poi rapidamente a trasformare questo clima in aperta battaglia elettorale, in autunno.
Questo scenario scandalizza molti (di nuovo, nel Pd). Come se opporsi a una linea assunta dal partito e dai gruppi fosse legittimo, e cercare di piegare questa opposizione con una dura minaccia politica fosse invece illegittimo. È un destino, per Matteo Renzi, che contro di lui non debbano mai valere le regole di fair-play che invece da lui si pretendono.
Staremo a vedere. La soluzione migliore rimane, di gran lunga, un compromesso ben scritto che si ponga al di qua dei paletti posti dal governo, a cominciare dal no all’elezione dei senatori. Se la campagna elettorale si rivelasse un momento inadatto all’approvazione di un buon testo, l’essenziale dal punto di vista di Renzi sarebbe ricevere dal senato un segnale politico comunque chiaro, inequivoco e irrevocabile.
In caso contrario, se la resistenza rivelasse il vero volto dell’ostilità verso di lui, il leader del Pd e presidente del consiglio tornerebbe ad avere mani libere. E nessuno potrebbe poi lamentarsi dei colpi politici dati e presi.

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