sabato 16 novembre 2013

Un voto di sfiducia europeo

Stefano Menichini
Europa  

Le critiche di Bruxelles alla legge di stabilità sono un brutto colpo. Perché indeboliscono l'unico vero punto forte di Letta, e perché incoraggiano l'aggressività euroscettica del Pdl.
Rischia di essere un colpo più duro dell’ultimo tabulato delle telefonate del signor Cancellieri. Più pericoloso dei morsi della Santanchè. Più destabilizzante di una vittoria di Matteo Renzi.
Perché ognuno di questi eventi insidiosi per il governo – e perfino la loro somma – può essere superato dal partito delle larghe intese, a patto che si possa continuare a dire e a credere che Letta e Saccomanni sono i titolari della nostra assicurazione sulla vita in Europa.
E invece da ieri, in micidiale sincronia con tante fibrillazioni politiche domestiche, Bruxelles pare aver ritirato il voto di fiducia verso il governo italiano, o almeno verso la sua legge di stabilità. Che non è poco, soprattutto perché la conseguenza immediata dell’impietoso giudizio tecnico-politico sull’andamento del nostro debito e sulla credibilità delle previsioni di entrata è la scomparsa di quei tre miliardi di euro di bonus europeo che per Letta rappresentavano, fra tante altre coperture incerte, una risorsa essenziale. Essenziale, appunto, non solo finanziariamente ma anche politicamente.
Ora è presto per allarmarsi. La bocciatura pronunciata dal simpatico Olli Rehn deve ancora essere formalizzata e non c’è dubbio che nel frattempo si siano messi in azione potenti motori politici e diplomatici. Inoltre esistono molte possibili gradazioni di un giudizio critico: fin qui siamo all’incoraggiamento affinché l’Italia faccia di più sul taglio della spesa pubblica.
La prima risposta di Saccomanni è stata molto recisa e ha rinviato a correzioni che il governo ha già in programma di fare.
Qui viene il vero problema politico: che nell’iter parlamentare della legge di stabilità le pressioni contrapposte di Pd e Pdl non spingono in alcun caso verso ulteriori restringimenti di spesa. All’opposto: la tendenza a «chiedere di più» per le categorie e gli interessi rappresentati più solo crescere.
Soprattutto da parte berlusconiana. Soprattutto per l’opportunità di scaricare su un governo non amato le tensioni interne. E soprattutto se questo si può fare giocando sulle pulsioni antieuropee, sull’insofferenza per i richiami all’austerità di personaggi come Rehn, pensando fin d’ora di poter spendere questi brandelli di orgoglio nazionalista nelle prossime elezioni per Strasburgo.
Nell’insieme, diciamo che ieri l’Europa è stata matrigna con il più giovane ed europeista dei suoi premier. Non una mossa lungimirante, a occhio.

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