domenica 24 novembre 2013

La nuova prima fila del Pd

Stefano Menichini 

Europa  

Dalle foto di Renzi, Cuperlo e Civati un'immagine che vale più dei loro discorsi. Ci sono inevitabili durezze da primarie, ma il Pd dei giovani vuole farsi valere soprattutto fuori: col governo e con gli avversari-alleati
Pur essendo un passaggio più burocratico che politico, la Convenzione democratica dell’Ergife rimarrà nella memoria. Per alcune foto, più che per le cose dette. Per la conta di chi non c’era, più che per quella dei delegati presenti.
La foto ovviamente è quella dei tre candidati sorridenti seduti vicini in prima fila. Dal palco si sono scambiati colpi non proprio leggeri, soprattutto Cuperlo contro Renzi. Ma l’immagine che hanno voluto trasmettere, con una certa sapienza, è stata quella di tre giovanotti bellocci, abbastanza amici, in competizione fra loro ma uniti dalla volontà di dare della leadership Pd un’idea finalmente positiva, leggera, drasticamente rinnovata e quindi, in sostanza, incolpevole per i disastri della generazione precedente.
La quale, altrettanto saggiamente, s’è sottratta al confronto. Con pochissime eccezioni, si sono tenuti alla larga dall’Ergife le donne e gli uomini della nomenklatura uscente, a cominciare dall’ex segretario Bersani per finire con D’Alema e Veltroni. Il che ovviamente non significa che si siano arresi alla rottamazione, che rinunceranno a giocare ancora le proprie carte, e che quelli di loro che hanno preso duramente parte nelle primarie non torneranno a entrare in tackle. Diciamo che preferiscono non farsi vedere in giro con i loro giovani successori, e già questa non è una piccola ammissione di crisi.
Per quanto ancora informe e indefinito, s’è ritrovato all’Ergife il gruppo dirigente allargato del futuro Pd. Volendo, c’è anche poco da ricamarci sopra: dopo una batosta come quella del febbraio scorso, in qualsiasi partito democratico del mondo sarebbe successa (subito) la stessa cosa. Già che ci sorprenda e che se ne debba scrivere, è il segno di una arretratezza.
Gli interventi dei candidati (tranne quello di Gianni Pittella) sono stati meno belli di quelli dell’ultima assemblea nazionale. Ma offrono alcune tracce politiche.
Gianni Cuperlo è stato di gran lunga il più aggressivo, il che si capisce visto lo svantaggio che deve recuperare. Come al suo solito molto quadrato, razionale, evocativo, si è acceso nei ripetuti attacchi a Renzi sostanzialmente liquidato come un uomo di destra che camuffa la vera essenza del suo progetto neoliberista e presidenzialista. Evidente il richiamo della foresta, l’appello tribale (ancorché intelligente e argomentato) alla sinistra “canonica” (visto che lui stesso ha voluto evocare il concetto).
La durezza di Cuperlo non deve stupire né innervosire, come del resto non s’è affatto innervosito Renzi: è nella logica del passaggio congressuale. L’importante sarà che Cuperlo, dovesse perdere l’8 dicembre, non autorizzi nessuno dei suoi a forzare ulteriormente sul tema dell’alterità genetica: i danni potrebbero essere devastanti. Soprattutto per la sinistra appunto “canonica”.
Renzi ha replicato blandamente, non ha usato nessuna delle possibili armi contraeree. Ha fatto bene, perché può permetterselo alla luce del voto degli iscritti e delle promesse dei sondaggi. In queste fasi – andò esattamente allo stesso modo un anno fa contro Bersani – Renzi ci tiene ad accantonare ogni atteggiamento divisivo. Sa di dover essere rassicurante. Stavolta poi, ancora di più.
Così come hanno fatto un moderatissimo e pacatissimo Civati e un infuocato Pittella. I loro interventi completano il senso politico generale della giornata: di nuovo, come nell’assemblea di settembre, il Pd nel suo insieme si dice scontento e insoddisfatto dei risultati del governo Letta. Alza ulteriormente l’asticella da scavalcare per guadagnarsi la durata nel 2014. Non concede neanche la soddisfazione di riconoscere il successo politico della spaccatura del Pdl. Anzi, come abbiamo scritto tante volte, vede nella divisione dei berlusconiani un rischio in più.
Di tutti i dossier possibili, oltre ai temi economici, è la riforma elettorale quello che Renzi e i suoi colleghi candidati sbattono sul tavolo di palazzo Chigi. Può darsi che alla fine sarà la Corte costituzionale a dare una mano a loro e a tutti i fautori del Mattarellum, ma senza aspettarne la pronunzia il Pd vuole cambiare subito passo rispetto allo stallo di cui innanzi tutto il Pd stesso s’è reso responsabile fin qui.
È un preannuncio di crisi per il governo? Diciamo che, in ogni caso, è una bella accelerazione se non altro verso la possibilità di far svolgere le elezioni.
L’inserimento di Angelino Alfano è una mossa abile, intelligente, rispettosa: da capo-partito, propone al Renzi possibile capo-partito un patto per riempire proficuamente i prossimi dodici mesi, con impegnative riforme istituzionali a partire dalla agognata fine del bicameralismo. La replica dei renziani è già in puro clima di “orgoglio democratico”: vi staremo a sentire, ma noi alla camera siamo trecento e voi trenta.
Sarà tutto così, fino all’8 dicembre e con una fiammata di eccitazione dopo il voto di mercoledì prossimo sulla decadenza di Berlusconi. Buono a sapere, alla guida del Pd ci sono dei ragazzi piuttosto determinati a farsi valere non solo fra le mura di casa.

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