mercoledì 20 novembre 2013

Quei cattolici irregolari che inventarono il centrosinistra

Pierluigi Castagnetti 

Europa  

Esce oggi il primo libro su "La Lega democratica", gruppo di cattolici democratici fondato da Scoppola, Ardigò e Gorrieri. Pierluigi Castagnetti, che assistette alla sua nascita, ne ripercorre la vicenda
La Lega democratica è stata un’associazione di intellettuali cattolici che, a dieci anni dalla conclusione del Concilio, sentirono la necessità di elaborare modalità e contenuti contemporanei di impegno nella società e nella politica. Il poderoso lavoro di Lorenzo Biondi che ne ricostruisce la vicenda (La Lega democratica, Viella ed., da oggi in libreria, di cui Europa pubblica un estratto) è ricchissimo sotto il profilo della documentazione e acuto nell’enucleazione di ciò che vi è di originale in quella che resta la più recente elaborazione del pensiero cattolico-democratico.
L’idea nacque all’interno del gruppo dei “cattolici del no” al referendum per l’abrogazione della legge istitutiva del divorzio, nel 1974. Fu l’esito di quel referendum, e la lettura che per primo Aldo Moro ne fece nel consiglio nazionale della Dc nel luglio 1974, a illuminare la dimensione della secolarizzazione già intervenuta nella società italiana e, dunque, l’esigenza per i cattolici di prendere atto della loro minorità e della necessità di capire come poter diventare interlocutori della nuova realtà.
C’era in loro da un lato la convinzione di aver fatto nel referendum una scelta giusta, e dall’altro la mai pienamente superata sofferenza per un gesto di disubbidienza che aveva creato amarezza e qualche incomprensione nella comunità ecclesiale. Si trattava perciò di riprendere il discorso, per dare conto delle motivazioni profonde di quel gesto e per sollecitare la necessità di pensare su basi nuove la presenza politica dei cattolici.
L’intelligenza cattolica non ciellina
Nacque così la Lega, come cenacolo fra intellettuali e tale rimase sino alla fine. I veri promotori furono Pietro Scoppola, Ermanno Gorrieri (senza la cui capacità organizzativa probabilmente non sarebbe mai nata) e Achille Ardigò. Scoppola in quegli anni stava “scoprendo” la straordinaria personalità di De Gasperi e sentiva l’esigenza di riproporne il modello di laicità-spirituale; Gorrieri riteneva di dover “approfittare” della segreteria Zaccagnini per un ultimo tentativo di rinnovamento della Dc, aiutandolo sul piano delle idee; Ardigò, interessato e conquistato dalle grandi trasformazioni sociali e scientifiche in atto, avvertiva l’esigenza di un luogo che riproducesse il clima e gli stimoli della vecchia comunità dossettiana di Cronache sociali.
Il gruppo ben presto si allargò. C’erano i bresciani (Luigi Bazoli e Leonardo Benevolo), i romani (Nicolò Lipari, Paola Gaiotti, Paolo Giuntella, Michele Dau), i bolognesi (Nino Andreatta, Paolo, Giorgio e Romano Prodi, Roberto Ruffilli, Luigi Pedrazzi), i milanesi (Luciano Pazzaglia, Piero Bassetti), i sindacalisti (Pierre Carniti, Carlo Borgomeo, Luigi Paganelli), i giovani della Fuci (Ronza, Novelli, Tonini, Ceccanti, Tognon) e tanti altri ancora.
La rivista Appunti di cultura e politica, in un primo tempo stampata a Modena e poi a Brescia, fu lo strumento per coinvolgere praticamente tutta l’intelligenza cattolica non ciellina. Non vi erano vescovi né sacerdoti, anche se non mancavano collegamenti con diversi vescovi “montiniani” amici, in ossequio alla scelta di rigenerare il senso dell’impegno dei credenti laici, nella Chiesa e nella società.
La storia, la tecnologia, il welfare
Rispetto all’esperienza di Cronache sociali («dunque, dove eravamo rimasti?», amava provocare Ardigò) la Lega godeva il vantaggio di non trovarsi inserita all’interno della logica di partito, ma anche per questa ragione soffriva il limite di non riuscire a dare esito politico all’elaborazione di un pensiero che nel tempo divenne un corpus sistematico, spesso anticipatore di questioni che esploderanno dieci/quindici anni dopo, come dimostra la diaspora politica finale dei suoi protagonisti.
Il dibattito era animato fondamentalmente dai tre promotori, dalle loro sensibilità ed esperienze, dalle loro ricerche, dalla loro diversa attitudine a pensare politicamente. Scoppola a me pareva (personalmente ho goduto il privilegio di partecipare a tutti i primi incontri, anche quelli più riservati, in qualità di assistente di fatto di Gorrieri) particolarmente efficace nell’indicare la strada di un impegno nella storia dei cristiani, alla luce delle indicazioni conciliari e delle esperienze di De Gasperi e di Moro.
Ardigò era il più suggestivo quando indicava la necessità di una dilatazione di orizzonte per il pensiero cattolico (fu tra i primi a portare nel dibattito nazionale la fenomenologia di Edmund Husserl e la teoria dei sistemi di Niklas Luhmann, assieme a una attenzione a quei tempi veramente pionieristica alle nuove tecnologie informatiche e alla prevedibile nascita di una “rete”).
Gorrieri ebbe il merito di portare al centro della riflessione l’esigenza di un ampio ripensamento del modello di welfare, degenerato in forme di deresponsabilizzazione soggettiva e di profonda ingiustizia distributiva, che contribuivano alla progressiva perdita di attenzione all’interesse collettivo e all’unità del corpo sociale.
Nacque un dibattito aperto ai maggiori economisti, sociologi, sindacalisti, imprenditori (quelli che gravitavano attorno al Mulino e alla nascente Arel), che mise sotto accusa il modello di governo e di acquisizione del consenso della Dc, oltrechè della sua cultura tendenzialmente socialdemocratica, o tardo-dossettiana come si diceva allora.
Dentro e fuori dalla Dc
Sta di fatto che quei confronti a spettro culturale ampio e ambizioni riformistiche alte, generarono la legittima aspirazione ad esercitare un’influenza sul sistema politico che si realizzò solo in parte, sia per il vezzo un po’ troppo elitario di ritenere che il pensiero bastasse a cambiare le cose, sia per le altalenanti vicende congressuali della Dc che provocarono periodicamente fasi di apertura e fasi di chiusura verso tali stimoli.
De Mita sembrò il segretario del radicale rinnovamento (Scoppola e Lipari accettarono di entrare al Senato come indipendenti nelle liste della Dc), ma la sconfitta elettorale del 1983 e le vicende successive provocarono non solo una forte delusione, ma la convinzione di una certa “irreformabilità” del sistema.
Esaurita l’esperienza della Lega, dopo il 1987, mentre Ardigò di fatto si ritirò nei suoi studi, Scoppola provò ancora la via delle riforme istituzionali insieme a Segni e Gorrieri e con il coinvolgimento del gruppo dirigente della Fuci, ma purtroppo – di nuovo – l’“esternità” rispetto alla militanza politica e la resistenza del sistema non facilitarono l’obiettivo.
La politica e il “popolo di Dio”
E però l’esperienza della Lega, che pure durò solo dodici anni, lasciò il segno nella definizione di un impegno laicale serio e moderno sul terreno della mediazione fra cristianesimo e storia, della necessità per la politica di passare dalla cultura del progetto alla cultura della complessità, dell’accettazione da parte del credente delle contraddizioni della storia coltivando dentro di sé una «spiritualità del conflitto», della modalità di essere membri consapevoli e utili di quel Popolo di Dio che è Chiesa, della possibilità infine di fecondare la società con quei valori miti e solidi della tradizione cristiana che l’aiutano a diventare comunità.
Per queste ragioni, riccamente documentate da Lorenzo Biondi, nonostante l’apparente sconfitta politica, la Lega democratica restò a lungo un fecondo segno di contraddizione, contestato e osteggiato da gran parte della gerarchia e da gran parte dell’establishment politico. Ma da quei materiali sarà bene ripartire se si vuole ancora oggi dare un senso all’impegno dei credenti nella storia.

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