sabato 12 luglio 2014

Obama non conta, questione di ore per la guerra di Gaza

Lorenzo Biondi
 

Israele e Hamas d’accordo su un punto: respingere ogni mediazione di pace. Tel Aviv ammassa carri armati al confine, missili palestinesi sull’aeroporto della capitale
È stato il giorno dei no. Alle (timide) proposte di mediazione per un cessate il fuoco, Hamas e Israele hanno opposto, quasi in contemporanea, un secco niet.
Ci ha provato Fatah, alleato di governo di Hamas (almeno sulla carta, una carta che ad oggi pare valere poco). «La priorità assoluta è mettere fine agli attacchi e raggiungere un cessate il fuoco bilaterale», si leggeva in un comunicato dell’Autorità nazionale palestinese. Non se ne parla, ha risposto il movimento islamista che controlla Gaza. Israele minaccia un’invasione di terra? «Non ci sottomettiamo al ricatto», commenta Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas.
Dall’altra parte del confine i toni sono gli stessi. Benjamin Netanyahu si è presentato in conferenza stampa a metà pomeriggio. Nella notte tra giovedì e venerdì s’era sentita, dopo giorni di silenzio, la voce di Barack Obama. Sono pronto a fare da mediatore tra le parti, questa l’offerta del presidente. La replica del premier israeliano non poteva essere più chiara: «Nessuna pressione internazionale potrà impedirci di agire contro i terroristi a Gaza». Una replica a Obama, ma anche alle Nazioni Unite: la responsabile dell’Onu per i diritti umani Navi Pillay ha espresso «seri dubbi» sulla legalità dei bombardamenti israeliani su Gaza, che hanno fatto vittime soprattutto colpendo «abitazioni private». «Nessuna pressione», riecheggia il vocione di Bibi.
Il numero delle vittime a Gaza continua a salire, oltre la soglia simbolica dei cento cadaveri. I sistemi di difesa di Israele sono riusciti finora a intercettare tutti i missili rivolti contro centri abitati. Hamas ha provato a fare la voce grossa ieri mattina, annunciando di voler intensificare gli attacchi contro l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, uno scalo sia civile che militare. È soprattutto un modo per evocare la paura israeliana dell’“isolamento” dall’Occidente. Ma la sproporzione delle forze è evidente. Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, il generale Benny Gantz, ha comunicato ieri che «siamo pronti a espandere l’attacco quanto necessario, dove necessario, con tutta la forza necessaria e per tutto il tempo necessario». Insomma, l’invasione di terra è già pronta, manca solo l’ordine di partenza.
Ordine che, secondo molti osservatori, potrebbe arrivare nel corso del fine settimana, forse stasera al termine del riposo del sabato. Non è chiaro, invece, quale saranno la portata e l’obiettivo dell’attacco. Israele vuole fermare il lancio dei razzi, certo, e per farlo può bastare un’invasione di breve durata. Ma ieri Netanyahu ha infilato un commento velenoso tra le sue dichiarazioni: «Non ero d’accordo, nel 2005, con il ritiro da Gaza». Cioè con la scelta di Ariel Sharon di lasciare il controllo della Striscia ad Hamas. Solo una minaccia, o un progetto politico?

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