lunedì 28 luglio 2014

Le vie difficili della libertà e dell’uguaglianza.


Corriere della Sera 27/07/14

Il caso dell’insegnante lasciata a casa da una scuola religiosa trentina per non essere disposta a nascondere la propria convivenza omosessuale pone una questione di difficile soluzione: prevale la tutela della libertà morale e sessuale dell’insegnante, o la tutela della libertà religiosa della scuola?

Il problema nasce dal fatto che non può esserci vera libertà politica o religiosa per tutti se non viene garantita anche la libertà delle associazioni politiche o religiose di selezionare il proprio personale secondo criteri di coerenza con le rispettive idee. Questo è il motivo per cui in tutti gli ordinamenti democratici viene protetta la libertà di pensiero e di attività politica delle persone, ma al tempo stesso anche la libertà dei partiti di escludere dai propri organici chi ha un orientamento politico diverso; la libertà religiosa e morale delle persone, ma al tempo stesso la libertà delle Chiese e associazioni religiose di esigere l’adesione al proprio credo da chi da esse dipende.

Non ci sarebbe vera libertà di opinione circa temi etici caldi come quello dell’aborto o dell’eutanasia se si vietasse all’Associazione Luca Coscioni di escludere Paola Binetti dal novero dei propri collaboratori, né se si vietasse a Radio Maria di fare l’esame di catechismo ai propri speaker. A patto, ovviamente, che la «causa» sia lecita, cioè non sia soggetta a uno specifico divieto. Per esempio, il decreto legge n. 122/1993 commina una sanzione penale per chi promuova idee razziste o xenofobe; e vieta la costituzione di associazioni che abbiano tale finalità.

Ora, nel caso da cui siamo partiti la «causa» che la scuola religiosa trentina intende sostenere comporta l’affermazione secondo cui l’esercizio dell’omosessualità costituisce un male, un comportamento immorale, «contro natura». L’opinione di moltissimi italiani, tra i quali chi scrive, e probabilmente anche di papa Francesco, è che questa affermazione sia sbagliata e contraria allo spirito del Vangelo; una cosa, però, è certa: oggi in Italia sostenere questa tesi non è vietato. Anche il disegno di legge n. 1052/2013, approvato dalla Camera dei deputati nel novembre scorso e attualmente all’esame del Senato, che si propone di prevenire e reprimere le manifestazioni di omofobia, esclude dal divieto «la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza».

Tuttavia possiamo affermare con altrettanta certezza che la discriminazione ai danni di un lavoratore riferita al suo orientamento sessuale oggi in Italia è, in linea generale, positivamente vietata: lo stabilisce il secondo comma dell’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori, a seguito di un’integrazione apportata nel 2003. E una recente raccomandazione del Consiglio dei ministri Ue invita gli Stati membri a porre in atto misure efficaci non solo per vietare, ma anche per prevenire la discriminazione omofobica.

Così stando le cose, tre scuole di pensiero si confrontano: quella secondo cui, quando è in gioco una prerogativa essenziale della persona qual è l’esercizio della sua sessualità, la tutela della sua libertà morale deve prevalere in ogni caso sulla tutela della libertà della scuola privata; quella intermedia, sostenuta da Nadia Urbinati su Repubblica di mercoledì scorso e diffusamente condivisa, secondo cui lo Stato può subordinare il sostegno finanziario al rispetto da parte della scuola privata del divieto generale di discriminazione; infine quella secondo cui la libertà di pensiero e di religione sarebbe lesa anche dal condizionare il finanziamento pubblico a una scuola religiosa al rispetto da parte sua del divieto di discriminazione. Quest’ultima linea di pensiero corrisponde di fatto al modo in cui vanno le cose in Italia, dove è accaduto più volte che scuole e atenei religiosi abbiano licenziato per motivi ideologici pur beneficiando di finanziamenti pubblici.

La soluzione intermedia parrebbe a prima vista la più equa. Ma per sposarla occorre superare due argomenti molto forti a sostegno, rispettivamente, delle due tesi estreme. Il primo è quello di chi osserva che negare alla scuola A, perché sostiene una sua ideologia, il finanziamento pubblico concesso invece alla scuola B che aderisce a quella statuale, non è poi così diverso dal mettere fuori legge la prima e, in ultima analisi, limitare la libertà ideologica di entrambe.

Drammaticamente opposto è l’argomento secondo cui negare a una persona, sia pure solo nell’ambito di un rapporto di lavoro, la libertà di manifestare il proprio orientamento sessuale menoma la sua esistenza più intimamente di quanto non faccia una riduzione della sua libertà di manifestazione del pensiero: una mutilazione che neppure la tutela della libertà di una comunità religiosa, con o senza finanziamento pubblico, potrebbe giustificare.

La questione è aperta. La soluzione incerta come poche.

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