Le dimissioni del sottosegretario impresentabile erano l'unica
soluzione per salvaguardare il metodo e l'immagine di Renzi. Ora
dovrebbe fatto altrettanto sulla legge elettorale.
Matteo Renzi (si) è condannato a fare le cose, anche quelle
difficili, in modo semplice e diretto. O almeno a farle risultare
semplici e dirette. Che sia dotato di una forte professionalità politica
è evidente, dunque non è affatto privo di malizia e acume tattico. Ma
non può permettersi che questi skill prevalgano sull’immagine del leader a una dimensione.
Per i problemi che gli si sono parati di fronte per ultimi, era
evidente quali fossero le soluzioni facili e dirette da comunicare.
Il sottosegretario scelto male e difeso peggio, l’ormai famigerato
Antonio Gentile, doveva lasciare il governo nel quale non avrebbe dovuto
mai entrare.
È finita così, nell’unico modo possibile e tutto sommato più rapido,
senza dare il tempo alle opposizioni di presentare le prevedibili e
giustificatissime mozioni per le dimissioni. E in ossequio al principio
secondo il quale i sottosegretari sono tali perché godono della fiducia
del presidente del consiglio, non del parlamento, e Gentile non avrebbe
mai potuto godere della fiducia di Matteo Renzi per come abbiamo
imparato a conoscerlo.
Dopo di che rimane il vulnus della scelta sbagliata, e il
fatto che secondo noi non fosse l’unica. È infatti abbastanza
incomprensibile, senza ricorrere a pensieri reconditi che mal si
associano all’immagine che Renzi ha voluto dare di sé, che al ministro
della giustizia sia stato affiancato un emblema del correntismo e del
corporativismo togato come il sottosegretario ex (?) berlusconiano e ora
sedicente “tecnico” Cosimo Ferri. Oltre tutto, qui i rapporti con Ncd
non c’entrano.
Con le dimissioni di Gentile s’è risolto almeno uno dei problemi di
politica ultra-domestica che Renzi s’era trovato di fronte. L’altro è
quello che riguarda la riforma elettorale, e anche su questo c’è solo
una strada chiara e diretta da seguire: l’Italicum va approvato alla camera entro questa settimana, nella versione contrattata con Berlusconi e poi corretta con Alfano, senza escamotage barocchi e improbabili tipo l’esclusione del senato dall’applicazione delle nuove norme.
L’ideale sarebbe se il premier potesse avere il suo battesimo
internazionale, giovedì a Bruxelles per il vertice straordinario
sull’Ucraina, essendosi liberato di queste complicazioni. Per passare
poi, al ritorno, alle cose serie e davvero urgenti: il Jobs Act, che aspettiamo di leggere possibilmente prima della signora Merkel.
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