Le votazioni sulle province sono un pessimo auspicio per riforma
elettorale e riforme costituzionali. Renzi sapeva che palazzo Madama non
gli è amico, ma i senatori devono conoscere il rischio che corrono
davanti agli elettori.
Finché esiste nella attuale forma, il senato ha la libertà e
anzi il dovere di intervenire nel processo legislativo. Del resto, fin
dal primo giorno di vita del governo Renzi era evidente a tutti quanto
fosse cattiva la chimica fra il nuovo premier e la vecchia assemblea, né
lui aveva fatto il minimo sforzo per migliorare il rapporto.
La combinazione di questi fattori rende palazzo Madama il luogo
cruciale della riuscita del tentativo renziano. Si può scegliere: le
votazioni di ieri sull’abolizione delle province, prima in commissione e
poi in aula, possono essere considerate un successo per Delrio e Renzi
(in fondo gli scogli sono stati superati, con scrutinio segreto, e su un
tema che vede una lobby attivissima); oppure, in attesa di vedere che
fine farà questo provvedimento, si può trarre dal passaggio sulle
province il presagio più funesto per le altre controverse riforme in
arrivo: l’Italicum e le leggi costituzionali su Titolo V e, appunto, ridimensionamento dello stesso senato.
La difficoltà era nota a Renzi. Compresa quella rappresentata
dall’ostilità di buona parte dello stesso gruppo Pd. La commissione
affari costituzionali di palazzo Madama è quella palude nella quale la
riforma elettorale è stata trattenuta e neutralizzata per mesi fino a
dicembre, con disappunto dello stesso capo dello stato. Il M5S,
traumatizzato dalle rotture interne, nell’ansia di ostacolare Renzi
smentisce se stesso fino al punto di intitolarsi la difesa degli enti
burocratici periferici.
Insomma, se c’è in Italia un luogo votato a resistere a Renzi a ogni costo, questo è palazzo Madama. Senatores boni viri, senatus mala bestia. Da
Cicerone a oggi, non vale come giudizio sui singoli parlamentari: è la
logica politica che li trasforma in difensori di un bunker.
Era chiaro che l’inversione di agenda tra completamento dell’Italicum
e legge costituzionale sul senato, fosse pure una scelta obbligata,
avrebbe consegnato il successo delle riforme renziane ai più ostinati
avversari. L’arma dello scioglimento anticipato è inutilizzabile. Rimane
però fortissima, come richiama oggi anche Giorgio Tonini, l’esposizione
del senato-istituzione e di ogni singolo senatore – in primis
quelli eletti nel Pd – alla responsabilità gravissima di far saltare non
un singolo articolo o una singola legge, ma l’intera stagione del
cambiamento da tutti riconosciuta come essenziale davanti al giudizio
severo di una pubblica opinione che, prima o poi, agirà da corpo
elettorale anche nei confronti di questo ceto politico.
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