In attesa del test europeo, Renzi conferma di avere il controllo
pieno del Pd. Dissensi e malumori appaiono marginali. La centralità del
Pd conviene a tutti, e il premier-segretario è troppo rapido per tutti.
I tempi difficili arriveranno. I risultati di amministrative ed
europee saranno cruciali, associati alla leadership del presidente del
consiglio e segretario del Pd. Fino a quel momento bisogna però prendere
atto che Matteo Renzi mantiene sul proprio partito un controllo
assoluto. E che c’è una palese sproporzione fra il peso che malumori o
dissensi hanno sui media, e l’impatto che invece hanno sugli equilibri
interni, sulle decisioni assunte, sui comportamenti al governo e in
parlamento.
Lascia perfino perplessi, che obiezioni magari ragionevoli sulle
singole scelte di Renzi e del suo governo siano veicolate nel Pd da una
minoranza che non riesce a incidere. E questo vale non solo per l’ambito
di partito, dove i rapporti di forza usciti dalle primarie sono
impietosi, ma fino ad adesso anche per gruppi parlamentari che abbiamo
descritto riottosi al limite della sedizione.
Alla luce di quello che Renzi è riuscito a fare negli ultimi quattro
mesi, fanno sorridere le analisi di chi lo pronosticava in difficoltà
nel suo stesso partito fin dai primi giorni dopo le primarie. Come è
potuto accadere, al netto degli errori degli avversari?
Banalmente – come s’è sentito ripetere durante la direzione di ieri –
l’intero Pd, al centro e in periferia, avverte che Renzi l’ha condotto
finalmente al centro della scena, motore di una stagione avvertita dagli
italiani come vigilia di cambiamento: una posizione che nessuno – per
orgoglio, convinzione o semplice calcolo – vuole indebolire.
Renzi per primo sa benissimo che non tutti, neanche tra i suoi
sostenitori, sono convinti al cento per cento di tutte le iniziative che
lui da premier affastella giorno dopo giorno, una sopra l’altra in modo
che risulti impossibile sfilarne una, pena il crollo dell’intero
catasta. Del resto neanche Renzi s’è mai legato a un contenuto
specifico: per lui i singoli capitoli possono essere ritoccati,
corretti, aggiustati. Ciò a cui non è disposto a rinunciare è il
messaggio d’insieme; la dimensione, la diffusione e la rapidità del
cambiamento; la coerenza con l’impegno a non lasciare nulla com’era
prima.
Sicché, quando qualche bene intenzionato si alza per obiettare sull’Italicum, trova Renzi già lanciato sul Jobs Act. Il giorno dopo, a chi critica il Jobs Act,
si risponde col testo finalmente scritto della riforma del senato. E
via così, inseguendo un bersaglio incomparabilmente più mobile di
qualsiasi cacciatore.
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