mercoledì 19 marzo 2014

Le sole armi in mano al premier.

Corriere della Sera del 19/03/14

La sfida che Renzi si è proposto — e che può giustificare l’altrimenti incomprensibile sostituzione del suo governo a quello di Letta — richiede un coraggio che rasenta l’azzardo. E una buona dose di fortuna.

Per vincere la sfida — far tornare a galoppare, o almeno a trottare, lo stanco ronzino italiano — Renzi deve assolvere due compiti e deve assolverli con risorse politiche molto limitate. Il primo compito è di breve periodo — si conclude con le elezioni europee del maggio prossimo — e riguarda la situazione economica e politica interna: Renzi deve dare l’impressione di portare subito a casa risultati (meglio naturalmente se li porta a casa sul serio) che migliorino le condizioni di vita dei cittadini e li invoglino a votare a favore del governo e del partito di chi lo presiede. Altrimenti la sua avventura politica è finita o gravemente compromessa. Il secondo compito riguarda sia l’arena politica nazionale, sia quella europea e internazionale, e si gioca su un periodo più lungo, ma non troppo lungo: porre su solide fondamenta strutturali le prospettive di crescita del nostro Paese.

Dunque riforme radicali, che aumentino l’efficienza e riducano le spese del settore pubblico e la competitività di quello privato, che consentano misure di rilancio e di sostegno dei redditi le quali non aggravino il disavanzo. La fiducia europea e internazionale, la buona disposizione dei mercati verso l’Italia, dipendono da queste. Le risorse politiche di cui Renzi dispone per affrontare questi compiti sono però scarse e in particolare è debole il controllo sul suo gruppo parlamentare: lo si è visto nelle recenti votazioni sulla legge elettorale, dove almeno cinquanta deputati hanno votato contro le indicazioni del partito.

Come giocare al meglio questa debolezza? Credo che Renzi sia il primo a sapere che le sue uniche armi sono il successo e la minaccia. Di qui l’attenzione con cui guarda ai risultati delle elezioni europee e, più in generale, al consenso mediatico di cui per ora dispone. Di qui la costruzione di una strategia a due tempi, dove nel primo si concentrano misure di sicuro successo popolare e si è reticenti su quelle che dovranno essere adottate nel secondo: inutile crearsi nemici in anticipo. Se il passaggio delle europee sarà benedetto dalla dea bendata, il difficile percorso successivo non potrà che essere sostenuto da un uso coraggioso del potere di minaccia. La minaccia che, se il Parlamento non sostiene le riforme strutturali proposte, per quanto difficilmente digeribili da un ceto politico selezionato sulla base dell’«usato sicuro» di Bersani, si va tutti a casa, ci si assume la responsabilità di far tornare il Paese nel caos, con una legge maggioritaria alla Camera (nel frattempo sarà stata approvata) e una proporzionale al Senato, come risulta dalla sentenza della Corte Costituzionale. Renzi è ancora un mistero per molti parlamentari Pd e la minaccia potrebbe risultare credibile.

Dopo di che si comincerà a ballare, perché le riforme di cui si sta discutendo sono di una tale difficoltà e radicalità — un vero mutamento nella costituzione materiale del Paese — da far tremare i polsi anche ad un governo dotato di una investitura popolare plebiscitaria.

Sulle riforme costituzionali del Senato e del Titolo V — cui è stata malauguratamente legata la stessa riforma elettorale — non c’è un patto chiaro con Forza Italia, quello che invece esiste e sta reggendo per la riforma elettorale: si tratta di un passaggio molto più difficile di quanto si pensi, e per motivi assai più seri della banalità che si continua a ripetere, che non si può chiedere ai tacchini di votare sul pranzo di Natale. Sulle riforme della legislazione del lavoro, far capire al Paese e dimostrare all’Europa che si volta pagina significa saper reggere allo scontro con i sindacati. Alesina e Giavazzi ne hanno parlato anche ieri su questo giornale e si ritorna al tormentone dell’articolo 18. Ancor più efficace dal punto di vista della competitività è la possibilità di derogare con contratti locali dal contratto nazionale, se le rappresentanze sindacali locali li approvano. I sindacati si sono finalmente messi d’accordo sulla rappresentanza e si potrebbe partire da lì, ricordando che una ragione importante della competitività tedesca, ancor prima delle riforme Hartz, è stata il distacco di molte imprese dal contratto collettivo. Cavare dalla spending review non i 3 miliardi previsti quest’anno ma i 30 necessari nei prossimi due ammonta a un vero e proprio ridisegno dei confini dello Stato: ma se non si affronta questo compito la credibilità europea del progetto di riforma è molto scarsa.

Ho spiegato la prudenza di Renzi fino alle elezioni europee e accentuato le difficoltà connesse alle riforme strutturali rimandate al semestre e agli anni successivi. In realtà il compito di Renzi è ancor più difficile, ma assai più entusiasmante che non giustificare sacrifici presenti alla luce di benefici futuri: questo l’ha fatto, e l’ha fatto egregiamente, Mario Monti, con i risultati di popolarità che conosciamo. Renzi però ha una vera vocazione per la politica e proviene dalla sinistra. Il suo compito è anche quello di dare una prospettiva a una forza politica che, in un contesto di globalizzazione, sembra aver smarrito le proprie ragioni ideali. Quello di convincere che, riformando le istituzioni, anche in momenti di difficoltà economica, ci si può avvicinare agli obiettivi di giustizia sociale e di eguaglianza di opportunità che sono propri della sua parte politica. Solo riuscendo in questo, in futuro, non avrà più ragione di diffidare dei rappresentanti parlamentari del suo partito.


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