Renzi e Padoan col tono giusto verso l'Europa e verso l'Italia. Ma
l'opportunità politica che hanno adesso non si ripresenterà
Il tono è quello giusto: orgoglioso senza essere arrogante, che
oltre tutto non potremmo permettercelo. Consapevole della gravità della
situazione, ma senza pessimismo. La coppia Renzi-Padoan (due che fino a
dieci giorni fa non s’erano mai visti di persona) ha sincronizzato il
messaggio da recapitare alle istituzioni europee, alla business community
e all’opinione pubblica interna. E per ora funziona, si può parlare
senza lingua biforcuta come invece hanno fatto spesso i leader dei paesi
messi sotto scrutinio per lo stato dei conti pubblici.
Il ministro dell’economia sul Sole 24 Ore mette un punto,
scontato per lui ma non altrettanto per il dibattito politico:
l’economia italiana ha sofferto troppo per rientrare sotto la soglia del
3 per cento, perché adesso quei sacrifici possano essere vanificati per
impazienza, presunzione o demagogia. La pagheremmo cara molto presto.
È una contraddizione con le cose dette spesso dal suo presidente del
consiglio? No, i due condividono l’idea, del resto ovvia, che l’Italia
possa pretendere ricontrattazioni europee solo dopo aver varato le
riforme strutturali universalmente ritenute necessarie, delle quali se
n’è realizzata (con le falle ben note) solo una: quella della
previdenza. Non a caso, accadde nel giro di pochi giorni dopo il varo
del primo governo delle larghe intese. Poi più nulla: neanche i tecnici
di Monti seppero andare oltre. E se per la riforma Fornero si fosse
aspettato qualche mese in più, non la si sarebbe fatta meglio: non la si
sarebbe fatta per nulla.
Renzi e Padoan si trovano in una situazione per certi aspetti
analoga. Hanno una finestra di possibilità che si aprì anche per Letta,
che non seppe cogliere l’attimo. Nei suoi primi tre mesi, il governo
deve compiere scelte drastiche e durature su mercato del lavoro, nuovo
welfare, sburocratizzazione e rimodulazione fiscale non solo perché
siamo tornati sotto osservazione; o perché ne va della credibilità del
premier e della sua fama di velocista; o perché poi ci sono le elezioni
europee e quindi arriva il primo giudizio popolare.
Quelle scelte vanno fatte subito finché la forza politica della
spiazzante mossa renziana su palazzo Chigi è intatta; finché la palude
parlamentare, che ora giochicchia con l’Italicum, pensa di non
potersi permettere di scherzare con la crisi economica; finché l’attesa
del paese è sufficientemente positiva da farla pesare contro le
resistenze corporative che si manifesteranno.
Le riforme di Renzi che si ricorderanno saranno datate primavera
2014. Tutto il resto, ciò che in agenda viene dopo, è una variabile
dipendente.
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