Corriere della Sera 24 marzo 2014
Giovanni Bianconi
ROMA — Un disegno di legge da
approvare in tempi brevi, o un decreto che entri subito in vigore,
per risarcire i detenuti che hanno subito il sovraffollamento nelle
carceri italiane, che la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha
sanzionato come «inumano e degradante». È la promessa che il
ministro della Giustizia Andrea Orlando farà oggi e domani ai
vertici del Consiglio d’Europa e della stessa Corte, nella sua
missione a Strasburgo, per tentare di evitare le nuove condanne già
annunciate un anno fa dai giudici che sorvegliano il rispetto delle
norme comunitarie; uno sfregio che il governo vuole evitare a tutti i
costi, anche perché arriverebbe alla vigilia del semestre a guida
italiana del Consiglio Ue. E non sarebbe un buon
viatico.
L’emergenza — denunciata più volte anche dal capo
dello Stato, Giorgio Napolitano, con un messaggio alle Camere rimasto
pressoché inascoltato — resta tale. Però l’Italia sta lavorando
per risolverla. I dati del soprannumero sono in calo rispetto al
momento in cui, un anno fa, arrivò l’ultimatum della Cedu dopo la
«sentenza pilota» che ha condannato l’Italia a risarcire con 100
mila euro complessivi sette detenuti che per dodici mesi erano stati
rinchiusi in spazi troppo ristretti: se entro il maggio 2014 il
governo di Roma non avesse trovato soluzioni, la Corte avrebbe preso
in esame tutti gli altri ricorsi (ce ne sono oltre tremila pendenti,
e ogni giorno se ne aggiungono di nuovi) con sanzioni che calcoli
approssimativi stimano intorno ai 40 milioni di euro. All’epoca di
quel verdetto-avvertimento i reclusi erano poco più di 66.000,
venerdì scorso eravamo a 60.419. Sempre troppi rispetto alla
capienza regolamentare di 47.857 posti. Anche i detenuti in custodia
cautelare in attesa del processo di primo grado sono scesi, da oltre
14.000 a 10.864. Però la situazione non garantisce che non ci siano
più persone che scontano la pena in meno di tre metri quadrati per
ciascuno. E soprattutto non incide sulle violazione passate, che in
un modo o nell’altro vanno risarcite.
Ecco perché nei suoi
incontri di oggi e domani con il presidente del Consiglio d’Europa,
con il presidente della Cedu e con l’Alto commissario per i diritti
umani, il ministro Orlando spenderà la carta di un provvedimento
legislativo che — come accade per chi subisce una «ingiusta
detenzione» attraverso la cosiddetta legge Pinto — garantisca
degli indennizzi in Italia, senza la necessità di rivolgersi alla
Corte europea. In questo i danneggiati potrebbero presentare le
proprie istanze alle istituzioni italiane, e la Cedu lascerebbe
cadere le migliaia di reclami che a Strasburgo attendono di essere
esaminati. Se la Corte dovesse considerare adeguata questa «soluzione
interna», l’Italia potrebbe ottenere di pagare cifre meno
consistenti, anche meno della metà rispetto alle stime europee. Per
chi è già uscito di galera, infatti, non c’è altro rimedio che
il risarcimento economico, mentre per chi è ancora dentro si proverà
con una decurtazione della pena, in modo da farlo uscire prima.
Il
problema di Orlando è convincere gli interlocutori che questo passo
l’Italia lo farà in fretta, quindi un con disegno di legge da
approvare entro qualche mese, del quale lui stesso si faccia garante:
oppure con un decreto-legge, come aveva immaginato l’ex
Guardasigilli Annamaria Cancellieri che però non riuscì a far
passare la sua proposta. Orlando conta di avere migliore fortuna,
anche perché la scadenza si avvicina e la brutta figura
internazionale ricadrebbe sulle spalle del governo Renzi. Ma conta
anche di far capire ai vertici europei che in questi mesi l’Italia
non è stata con le mani in mano. Solo che a Strasburgo non ne hanno
tenuto conto; oppure non sono stati sufficientemente informati, se il
6 marzo scorso è arrivato un ulteriore monito a prendere le
contromisure necessarie a evitare la condanna.
Il decreto
divenuto legge il 19 febbraio (che prevede un «taglio» di 75 giorni
per ogni sei mesi trascorsi in cella) non è considerato sufficiente,
ma nel frattempo l’Italia ha provato a migliorare le condizioni di
vivibilità nei penitenziari. Anche attraverso le convenzioni con le
Regioni per i detenuti che possono accedere alle comunità di
recupero, sui cui pure Orlando insisterà. Sperando di persuadere gli
esponenti e i giudici europei che il terzo ministro della Giustizia
italiano nell’ultimo anno — dopo l’avvocato Paola Severino e
l’ex prefetto Cancellieri — è un politico di professione in
grado di rispettare gli impegni che prende. Pena una condanna che
peserebbe molto sul piano dell’immagine, oltre che su quello
economico.
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