Annamaria Testa
Internazionale 18 marzo 2014
Tra tutte le domande (moltissime delle quali fondate,
interessanti e doverose) che ci si potrebbero fare a proposito di Matteo
Renzi, ce n’è una particolarmente stucchevole che negli ultimi giorni
mi sono sentita proporre con sproporzionata frequenza e poche
variazioni: “Matteo Renzi è, come Berlusconi, un televenditore?”.
Intanto, segnalo che in realtà non si tratta proprio di una domanda,
ma di un’affermazione a cui è stato appiccicato un punto interrogativo.
Una domanda vera, per esempio, potrebbe essere: “Quali sono, secondo
lei, le caratteristiche peculiari della comunicazione di Renzi?”.
Ma, me ne rendo conto, messo così il quesito rischia di risultare
troppo poco pepato. E, oltretutto, la risposta allontanerebbe
dall’ambito berlusconiano, perché a Renzi appartengono, per esempio,
velocità, autoironia e sdrammatizzazione: tre categorie che l’altro, il
Gran Seduttore, frequenta poco.
Invece sul Renzi televenditore-come-Berlusconi, o addirittura
imbonitore nello stile di Cetto Laqualunque, si sono scatenati proprio
tutti.
Già che ci siamo, vi ricordo che con un accurato montaggio video si
può far dire qualsiasi cosa a chiunque (qui un divertente montaggio
costringe Obama a “cantare” Jingle bells).
Ma torniamo allo stile da televendita: perfino l’acuto, brillante Gian Antonio Stella scrive sul Corriere della Sera
che su questo lo stesso Renzi, che pure ha mostrato di soffrire un po’ i
paragoni, deve convenire: nel saper “vendere la merce” (buona o cattiva
che sia) è difficile non vedere un parallelo. L’uno e l’altro, che
siano intervistati da un giornale, ospiti in tv o chiamati a intervenire
in aula, non parlano ai giornalisti o ai colleghi: parlano direttamente
ai loro elettori. Al popolo.
Sarò ingenua, ma mi sembra che un bravo politico debba porsi
l’obiettivo di parlare agli elettori, e non ai giornalisti o ai
colleghi. Se all’ingenuità aggiungo un po’ di malizia, mi viene perfino
il sospetto che qualche giornalista possa percepire per sé, in questo
filo diretto tra politico ed elettori, il rischio di una perdita di
ruolo e di centralità: ohibò, se il discorso è troppo chiaro, non
restano più contenuti da spiegare o da interpretare. E allora via!, in
assenza dei fatti, che sono di là da venire, tocca lambiccare sulla
forma.
E sarò doppiamente ingenua, ma non vedo nemmeno tutto questo scandalo nella scelta di usare una presentazione in Powerpoint
(peraltro assai migliorabile, nel caso di Renzi). Supporti infografici
si adoperano ormai correntemente nei telegiornali e nei talk show e
appaiono sui maggiori quotidiani italiani e internazionali. Usano
Powerpoint la Banca d’Italia e il Censis nei convegni. Si mostrano
correntemente le slide nelle università (e gli studenti – questo sì è un problema
– tralasciano di prendere appunti). Il motivo è evidente: specie se un
discorso è complesso, una lista aiuta a mettere a fuoco i punti
salienti.
Tutto ciò non significa che la forma e lo stile di Renzi non siano
meritevoli di nota e commento. Mi spiego: la comunicazione dei partiti
politici italiani ha subìto un’evoluzione, a volte lenta a volte rapida,
a partire dal secondo dopoguerra, ma solo in tempi più recenti si sono
registrate le tre maggiori discontinuità: la prima alla fine degli anni
ottanta, con la Lega e il “celodurismo” di Bossi. La seconda nel 1994,
con la “discesa in campo” di Berlusconi. La terza in anni più recenti,
con Grillo.
Sono tre diverse rotture nel linguaggio, tutte e tre coincidenti con
l’apparizione di formazioni politiche nuove, e tutte e tre lontane
dall’area del centrosinistra. Con Renzi abbiamo un salto di linguaggio
(ritmi, toni, riti, espressioni, contesti, esempi, metafore,
comportamenti) altrettanto rilevante, ma nato all’interno di una
formazione politica di centrosinistra, che già esiste e che ha una
lunghissima storia. È normale che molti si sentano un po’ spaesati. E
che alcuni non riescano proprio a crederci.
Ma, proprio perché siamo di fronte a qualcosa di nuovo, ho la
sensazione che sospendere il giudizio per un po’ potrebbe non essere una
cattiva idea. E, per esempio, mi sentirei di rispondere alla domanda
“Matteo Renzi è un televenditore?” non prima che siano passati un paio
di mesi. L’appropriatezza della definizione è appesa non allo stile, ma
ai contenuti della comunicazione: se i cambiamenti annunciati non ci
saranno, allora sapremo di aver assistito a una televendita, l’ennesima.
Intanto, e ancora a proposito di scelte di stile, per ora sono abbastanza contenta che Renzi abbia abbandonato il brutale frame della rottamazione.
Era divisivo, offensivo e fuorviante. Era, come ho provato a
raccontare, contrario a qualsiasi logica di cambiamento creativo. E, per
dirla tutta, mi auguro di potermelo dimenticare.
Nessun commento:
Posta un commento