Caro
Riccardo, estraggo dal tuo editoriale del 26 marzo 2014 due frasi
significative:
Al
sindacato, che si lamenta per la mancata convocazione degli
affollatissimi e spesso inconcludenti tavoli di concertazione del
passato, dico che è giunta l'ora, anche per loro, di cambiare verso.
La rappresentanza è un fatto importante per la democrazia, ma quando
diventa burocrazia inamovibile, e liturgia inconcludente, è un
problema.
….
ho
ascoltato l'intervento di tanti giovani motivati e professionalmente
preparati; quando ho chiesto loro cosa ne pensavano del sindacato, la
risposta univoca è stata: sindacato chi?
Permettimi
due rapide considerazioni:
Sulla
prima frase, il cui senso posso anche condividere, farei due chiose.
Continui a usare il vecchio termine di Sindacato per indicare una
realtà che è, invece, molto articolata. Capisco che a furia di
vedere i talk show televisivi ci si fa una idea monolitica e a senso
unico. In realtà quelle che molti (a ragione ?) indicano come
divisioni sindacali da esorcizzare, sono semplicemente la conseguenza
di modalità diverse di approcciare il tema del cambiamento. C’è
chi si lamenta del fatto che il sindacato ha abbandonato le pratiche
conflittuali degli anni d’oro, la “democrazia” confusa e
assembleare e che continua a guardare alle grandi fabbriche e c’è
chi, magari sbagliando, prova a cambiare.
Vogliano
provare a fare una analisi meno rozza sull’argomento ? Altrimenti
rischiamo di accomunarci al vecchio, e sempre presente, odio
antisindacale tipico della destra e della parte più conservatrice
dell’imprenditoria. E soprattutto ci terremo il peggio che il
sindacalismo italiano ha prodotto e non il meglio che sta crescendo e
che non appare sui mass media.
La
concertazione è morta e sepolta da più di 10 anni. L’ultimo
grande accordo concertativo è quello del 1993. E forse è bene che
sia così se la cosidetta concertazione si riduce a inconcludenza e
se chi va al tavolo non è disposto ad assumersi le responsabilità
che ne conseguono.
Questo
tuttavia non autorizza a mettere da parte il ruolo della società
civile, di cui le organizzazioni sindacali fanno parte, con una certa
supponenza che ha già fatto danni nel recente passato. Basta
ricordare la Prof.ssa Fornero e i suoi disastri sulle pensioni e sul
mercato del lavoro, frutto della arroganza e dalla non volontà di
ascoltare chi, probabilmente, conosceva la realtà meglio di Lei.
Sulla
seconda frase: attenzione a pensare che i giovani siano tutti
motivati, professionalmente preparati…. in carriera. Ci sono
purtroppo e per fortuna molti giovani normali che fanno professioni
non brillanti che lavorano nei servizi, nell’industria, in piccole
e piccolissime aziende, che fanno lavori manuali. Ci sono anche molti
giovani “sfigati” che non lavorano e non studiano.
Se
mai è preoccupante che questi lavoratori non intercettino il
sindacato o il sindacato non intercetti loro. L’idea che non ci sia
più bisogno di organizzare la tutela collettiva, sarà anche moderna
e innovativa ma è sbagliata. C’è ne accorgiamo quando arriva la
crisi.
E
per questo che le organizzazioni sindacali devono cambiare: meno
rigidità dove si è più forti e più disponibilità a ascoltare e a
organizzare questa parte del mondo del lavoro. Lo si fa con scelte
organizzative e politiche, che costano perché mettono in crisi le
vecchie certezze e che spesso non sono conosciute ma che stanno
cambiando il volto del sindacalismo italiano (o almeno di una parte
di esso).
Non
buttiamo via tutto, anche il nuovo che sta crescendo e che magari non
fa notizia, potremmo pentircene.
Forse
bisognerebbe discuterne.
Sandro
Pasotti
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