Francesco Verderami
Corriere della Sera del 08/03/14
Dinnanzi all’eterno dilemma, Renzi ha
scelto: si è preso l’uovo e pure la gallina. Costretto a mediare
sulla legge elettorale, ha giocato al rilancio, puntando (quasi)
contemporaneamente sulla riforma del sistema bicamerale.
Perché se
c’è una cosa che fa imbestialire il premier è sentirsi dire (o
vedersi scritto) che ha fatto «un passo indietro». E lui sostiene
di non aver fatto retromarce nella trattativa sull’Italicum. Il
fattore caratteriale rischia però di tradursi in una complicata
questione politica, siccome il testo che dovrebbe rivoluzionare il
modello istituzionale non è ancora stato redatto: ci vorrà non meno
di una settimana (più probabilmente due) prima di vederlo approdare
in Consiglio dei ministri. Il ritardo è dovuto al fatto che il
progetto di riforma costituzionale terrà legata la trasformazione
del Senato alla modifica del Titolo V.
Non è chiaro come Renzi
possa mantenere così l’impegno preso quando era solo segretario
del Pd — quello cioè di far approvare in prima lettura il
provvedimento «entro l’estate» — visto che resta da chiarire
(quasi) tutto: si andrà verso una Camera delle Regioni o verso un
Senato delle autonomie? I rappresentanti saranno solo «nominati» o
«anche» eletti? Per ora si è iniziato a discutere solo di
procedure parlamentari, e a tal riguardo il premier avrebbe idee
diverse rispetto alla sua maggioranza: rispetto a chi propone di
tenere separate le due riforme (bicameralismo e Titolo V), il capo
del governo pensa di accorparle in un unico testo, e invece di
iniziare da Montecitorio vorrebbe chiedere a Palazzo Madama di
incardinare la discussione sul ddl prima che inizi l’esame della
legge elettorale.
Sono scelte che rivelano per un verso
l’obiettivo mediatico di Renzi — deciso a tener fede al suo
crono-programma — ma che hanno anche un forte impatto politico: il
timing della riforma regola infatti il tempo della legislatura. Non a
caso — durante il vertice di Forza Italia con cui Berlusconi ha
dato il via libera all’Italicum — il capogruppo al Senato Romani
aveva spiegato che «bisogna a questo punto assecondare
l’accelerazione alla modifica del bicameralismo. Prima si fa, prima
si potrebbe tornare a votare». Il vero problema però è evitare che
una scommessa di tale portata diventi foriera di dissesti, come a suo
tempo accadde con la riforma del Titolo V, che — per colpa del
centrosinistra — snaturò l’equilibrio nei rapporti tra lo Stato
e le Regioni.
C’è quindi un motivo se il presidente del
Consiglio si è detto «pronto» a tornare sui propri passi, a
cambiare cioè l’impianto del suo modello che evocava (molto) alla
lontana il Bundesrat tedesco e che peraltro era stato illustrato solo
verbalmente. Fonti autorevoli del Pd confermano che Renzi «non è
arroccato sul proprio schema», ma è disposto ad accogliere
«proposte migliorative». Ecco la novità, che non può certo essere
considerato «un passo indietro», e che è frutto di colloqui
preliminari con gli alleati di governo come dei suggerimenti giunti
dal capo dello Stato.
La pratica è stata affidata al ministro
Boschi, che inizierà un giro di orizzonte sulla riforma appena la
Camera avrà licenziato l’Italicum. Ma già nei giorni scorsi —
quando si è discusso delle modifiche alla legge elettorale — il
premier ha affrontato l’argomento con Alfano, e insieme hanno
condiviso l’impianto che dovrà regolare in futuro la vita del
Senato: un organismo di secondo grado, privo del voto di fiducia e
composto da rappresentanti che garantiscano di fatto una sostanziale
gratuità di servizio. Il leader del Nuovo centrodestra condivide la
linea del capo del governo, secondo cui «non fossimo in grado di
realizzare la riforma del sistema bicamerale, avremmo perso. Anche se
dovesse ripartire l’economia». Perciò il titolare del Viminale
dice che «la trilogia delle riforme dovrà vedere al più presto la
luce».
La fine del bicameralismo è il rovescio della medaglia
della legge elettorale, è l’unico modo per rendere credibile agli
occhi della pubblica opinione la scelta di varare un nuovo sistema di
voto per una sola Camera. I sondaggi che Renzi compulsa lo stanno a
testimoniare, perciò deve forzare i tempi, per non pagarne dazio
alle Europee. Ma nei dettagli il governo deve ancora definire il
testo di quella riforma che Ncd depositò in Parlamento come disegno
di legge ai tempi del governo Letta. E quello che allora era un segno
di sfida a Renzi, oggi potrebbe tornare utile per arrivare al
compromesso: si fa riferimento a una rappresentanza mista, tra
presidenti di Regione nominati di diritto e senatori eletti insieme
ai consigli regionali, che sarebbero ridotti di numero; non c’è
più il voto di fiducia al governo ma la possibilità di intervenire
in seconda lettura per le leggi, lasciando comunque alla Camera
l’ultima parola...
«La modifica del sistema bicamerale —
spiega l’ex ministro Quagliariello — è la madre di tutte le
riforme, lo snodo fondamentale per dare spazio ai corpi intermedi,
l’architrave che cambierebbe lo Stato». Renzi, ma non solo lui, si
gioca (quasi) tutto su un passaggio che di sicuro incontrerà forti
resistenze. Lo scontro che si approssima a Palazzo Madama sulla legge
elettorale testimonia che non sarà facile raggiungere l’obiettivo,
specie nei tempi che il capo del governo si è prefisso. D’altronde
sta sfidando le leggi della fisica applicate alla politica: non è
mai accaduto che un’istituzione si prepari a votare la propria
soppressione.
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