sabato 8 marzo 2014

Prove di alleanza per il nuovo Senato 
La doppia sfida sulla riforma.


Francesco Verderami
Corriere della Sera del 08/03/14

Dinnanzi all’eterno dilemma, Renzi ha scelto: si è preso l’uovo e pure la gallina. Costretto a mediare sulla legge elettorale, ha giocato al rilancio, puntando (quasi) contemporaneamente sulla riforma del sistema bicamerale.
Perché se c’è una cosa che fa imbestialire il premier è sentirsi dire (o vedersi scritto) che ha fatto «un passo indietro». E lui sostiene di non aver fatto retromarce nella trattativa sull’Italicum. Il fattore caratteriale rischia però di tradursi in una complicata questione politica, siccome il testo che dovrebbe rivoluzionare il modello istituzionale non è ancora stato redatto: ci vorrà non meno di una settimana (più probabilmente due) prima di vederlo approdare in Consiglio dei ministri. Il ritardo è dovuto al fatto che il progetto di riforma costituzionale terrà legata la trasformazione del Senato alla modifica del Titolo V.

Non è chiaro come Renzi possa mantenere così l’impegno preso quando era solo segretario del Pd — quello cioè di far approvare in prima lettura il provvedimento «entro l’estate» — visto che resta da chiarire (quasi) tutto: si andrà verso una Camera delle Regioni o verso un Senato delle autonomie? I rappresentanti saranno solo «nominati» o «anche» eletti? Per ora si è iniziato a discutere solo di procedure parlamentari, e a tal riguardo il premier avrebbe idee diverse rispetto alla sua maggioranza: rispetto a chi propone di tenere separate le due riforme (bicameralismo e Titolo V), il capo del governo pensa di accorparle in un unico testo, e invece di iniziare da Montecitorio vorrebbe chiedere a Palazzo Madama di incardinare la discussione sul ddl prima che inizi l’esame della legge elettorale.

Sono scelte che rivelano per un verso l’obiettivo mediatico di Renzi — deciso a tener fede al suo crono-programma — ma che hanno anche un forte impatto politico: il timing della riforma regola infatti il tempo della legislatura. Non a caso — durante il vertice di Forza Italia con cui Berlusconi ha dato il via libera all’Italicum — il capogruppo al Senato Romani aveva spiegato che «bisogna a questo punto assecondare l’accelerazione alla modifica del bicameralismo. Prima si fa, prima si potrebbe tornare a votare». Il vero problema però è evitare che una scommessa di tale portata diventi foriera di dissesti, come a suo tempo accadde con la riforma del Titolo V, che — per colpa del centrosinistra — snaturò l’equilibrio nei rapporti tra lo Stato e le Regioni.

C’è quindi un motivo se il presidente del Consiglio si è detto «pronto» a tornare sui propri passi, a cambiare cioè l’impianto del suo modello che evocava (molto) alla lontana il Bundesrat tedesco e che peraltro era stato illustrato solo verbalmente. Fonti autorevoli del Pd confermano che Renzi «non è arroccato sul proprio schema», ma è disposto ad accogliere «proposte migliorative». Ecco la novità, che non può certo essere considerato «un passo indietro», e che è frutto di colloqui preliminari con gli alleati di governo come dei suggerimenti giunti dal capo dello Stato.

La pratica è stata affidata al ministro Boschi, che inizierà un giro di orizzonte sulla riforma appena la Camera avrà licenziato l’Italicum. Ma già nei giorni scorsi — quando si è discusso delle modifiche alla legge elettorale — il premier ha affrontato l’argomento con Alfano, e insieme hanno condiviso l’impianto che dovrà regolare in futuro la vita del Senato: un organismo di secondo grado, privo del voto di fiducia e composto da rappresentanti che garantiscano di fatto una sostanziale gratuità di servizio. Il leader del Nuovo centrodestra condivide la linea del capo del governo, secondo cui «non fossimo in grado di realizzare la riforma del sistema bicamerale, avremmo perso. Anche se dovesse ripartire l’economia». Perciò il titolare del Viminale dice che «la trilogia delle riforme dovrà vedere al più presto la luce».

La fine del bicameralismo è il rovescio della medaglia della legge elettorale, è l’unico modo per rendere credibile agli occhi della pubblica opinione la scelta di varare un nuovo sistema di voto per una sola Camera. I sondaggi che Renzi compulsa lo stanno a testimoniare, perciò deve forzare i tempi, per non pagarne dazio alle Europee. Ma nei dettagli il governo deve ancora definire il testo di quella riforma che Ncd depositò in Parlamento come disegno di legge ai tempi del governo Letta. E quello che allora era un segno di sfida a Renzi, oggi potrebbe tornare utile per arrivare al compromesso: si fa riferimento a una rappresentanza mista, tra presidenti di Regione nominati di diritto e senatori eletti insieme ai consigli regionali, che sarebbero ridotti di numero; non c’è più il voto di fiducia al governo ma la possibilità di intervenire in seconda lettura per le leggi, lasciando comunque alla Camera l’ultima parola...

«La modifica del sistema bicamerale — spiega l’ex ministro Quagliariello — è la madre di tutte le riforme, lo snodo fondamentale per dare spazio ai corpi intermedi, l’architrave che cambierebbe lo Stato». Renzi, ma non solo lui, si gioca (quasi) tutto su un passaggio che di sicuro incontrerà forti resistenze. Lo scontro che si approssima a Palazzo Madama sulla legge elettorale testimonia che non sarà facile raggiungere l’obiettivo, specie nei tempi che il capo del governo si è prefisso. D’altronde sta sfidando le leggi della fisica applicate alla politica: non è mai accaduto che un’istituzione si prepari a votare la propria soppressione.




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