Nei prossimi due mesi vanno spiegati ai cittadini i costi della nonEuropa
I risultati delle elezioni amministrative francesi sono stati
tanto annunciati quanto fatalisticamente lasciati accadere senza nessuna
strategia di contrasto preventivo. Il fatalismo elettorale è una
malattia incompatibile con la responsabilità della politica. Una
sciatteria che ha portato il Partito socialista, per la seconda volta
dopo Mitterrand, a scivolare al terzo posto proprio nella legislatura in
cui governa, e il partito conservatore, l’Ump, a diventare il primo
partito nonostante le lacerazioni interne e la mancanza di una
leadership autorevole.
È vero che i trend politici non sono facilmente contendibili in tempi
brevi, ma non è meno vero che ci si debba provare. In Italia, qualunque
sia il giudizio sulla sua strategia, Renzi ci sta provando: questa è la
ragione per cui, per quanto sia doveroso allarmarsi e allertarsi per
il possibile contagio, il Pd ha ragione di sperare che le cose qui
andranno meglio.
Non solo perché il populismo del M5S e della Lega è diverso da quello
del Fn francese, ma soprattutto perché l’iniziativa del nostro governo
punta a ridurre l’area del disagio e del dissenso popolare mettendo mano
ad alcune questioni che tradizionalmente ne sono la causa.
C’è un’ulteriore differenza: da noi si vota, contemporaneamente alle
europee, per il rinnovo di due consigli regionali importanti (Piemonte e
Abruzzo) e di numerosi comuni che riguarderanno circa dieci milioni di
elettori. Anche in Francia per la verità si è votato per il rinnovo
delle amministrazioni locali, ma il clima elettorale europeo là si è già
dimostrato decisivo, e molto. Da noi sarà ancora più evidente. Non è
dunque facile fare previsioni perché nei due mesi che ci separano alle
elezioni il clima si surriscalderà ancor più di quanto già si
intravvede.
La recente lunga intervista a Enrico Mentana di Beppe Grillo ci offre
già il campionario degli argomenti “di pancia” che dilagheranno
oltremisura. Occorre allora darsi una strategia elettorale volta a
smontare – e non è difficile – quegli argomenti; l’importante è non
sottovalutarli, perché quando fossero entrati nella testa, e nella
pancia, della gente non sarebbe facile farli uscire. Sarebbe un errore
rincorrerli, giustificarli, contestarne solo gli eccessi condividendone
nella sostanza la direzione, illudendosi di poter contare sulla
ragionevolezza e sul senso di responsabilità dei cittadini: se l’Euro è
stato un errore, se l’Europa è una prigione da cui uscire, finiranno per
essere premiate quelle forze politiche che promettono di farlo più
velocemente.
È del tutto evidente che la linea della mera austerità si è rivelata
utile in un primo tempo, ma oggi è sbagliata; che lo spazio riconosciuto
in questi anni alla Germania è stato in una certa misura inevitabile,
ma oggi deve essere rivisto e ripristinata una logica genuinamente
comunitaria; che l’apprezzamento dell’euro sulle altre monete di
riferimento internazionale è servito a irrobustire le economie
continentali con minori problemi per l’export e le delocalizzazioni
“sottocasa”, ma oggi non la si può più accettare; che la centralità del
Mediterraneo ha potuto essere postposta prima delle “primavere arabe” e
quando le economie nordiche potevano permettersi il lusso di
disinteressarsene, nel bene e nel male, ma oggi non è più rinviabile.
Tutte questioni che il nostro governo sta affrontando.
Ma quando si insinua nell’opinione pubblica da parte di alcune forze
politiche, con una linea disinvolta e irresponsabile, l’idea che senza
l’Europa per noi tutto sarebbe più facile, allora si rende necessario
confermare con coraggio, responsabilità e nettezza le ragioni della
nostra appartenenza irreversibile alla Comunità.
I prossimi due mesi dovranno essere utilizzati per spiegare agli
italiani, giorno dopo giorno, quali sarebbero i costi politici,
economici e umani della “NonEuropa”. Un lavoro che non potrà essere
lasciato alla sola iniziativa dei candidati alle elezioni europee, ma
dovrà rappresentare il cuore della strategia comunicativa, “educativa” e
politica di tutto il partito.
Non basteranno semplici evocazioni di De Gasperi e Spinelli, o
coltivazioni emotive della pace europea, delle radici cristiane, dei
programmi Erasmus, della libera circolazione delle persone e dei
capitali: questo poteva bastare sino a qualche decennio fa quando il sentiment
europeista si trovava naturalmente in circolazione nelle vene del
paese. Oggi è necessaria una specifica concretezza, proprio perché
l’Europa è entrata nella concretezza della vita delle persone, delle
famiglie e delle imprese.
E allora, per esempio, si dovrà parlare delle infrastrutture per
alcuni settori della ricerca fondamentale e applicata, per l’energia,
per le grandi scelte ambientali relative allo sviluppo compatibile, per
una efficace politica anticongiunturale, per le politiche di difesa
comune, soprattutto oggi quando le frontiere orientale e meridionale
sono diventate particolarmente delicate, per le iniziative già in fase
di avvio dei grandi investimenti (come l’Ice, European Citizen Initiative) con l’obiettivo in pochi anni di incrementare alcuni milioni di posti di lavoro.
Per non parlare della necessità di consolidare quello che, nonostante
tutto, è ancora oggi il più grande mercato interno del mondo, di fronte
alle sfide dei grandi mercati emergenti, condizione che – se saremo
capaci di strutturare il governo politico dell’Unione – ci metterà nella
possibilità di contenere l’anarchia e la prepotenza dei grandi
investitori finanziari mondiali. La NonEuropa esporrebbe economie
affaticate e indebitate come la nostra a rischi assolutamente
ingovernabili e imprevedibili. Occorre parlare chiaro, dirlo e
documentarlo senza timidezze e sciatteria agli elettori, che non sono
naturaliter tenuti a conoscere e riflettere su tutti questi argomenti.
Siamo solo agli inizi della campagna elettorale e, dunque, non è
possibile fare previsioni attendibili sugli esiti elettorali, anche se
già circolano proiezioni non proprio rassicuranti. L’ultima stima di
“PollWatch2014” dice che il Pse e il Ppe probabilmente saranno appaiati,
28,5 contro 28,4%, i liberali all’8,8%: Ppe, Alde e Ecr (conservatori)
potrebbero contare su 325 seggi, corrispondenti al 43%, mentre Pse,
Verdi e Gauche arriverebbero a 309 seggi, pari al 41,4%.
L’altra agenzia che ha organizzato sondaggi a livello europeo,
Cicero, grossomodo conferma questa previsione. Dunque, inevitabilmente
ci si avvia verso grandi intese nel parlamento europeo, com’è stato
finora (anche se si finge di non saperlo). Ma, al di là dei numeri, ciò
che occorre evitare è che nel sangue dell’Europa vengano iniettate
tossine populiste in misura insopportabile. Occorre cioè contenere il
contagio francese. Per quanto riguarda l’Italia la responsabilità del Pd
è veramente grande.
Nessun commento:
Posta un commento