L’esordio di Renzi e Mogherini nel marasma internazionale. Una full
immersion “formativa” in incontri con i pesi massimi della politica
internazionale
Fino a pochi giorni fa sedeva sui banchi della camera al fianco
del veneziano Michele Mognato. Ieri era a tu per tu con il russo Sergej
Lavrov. E poi in serata a villa Taverna, insieme con Matteo Renzi, a
cena dall’ambasciatore americano, John R. Phillips, ospite d’onore il
segretario di stato John Kerry. Il giorno prima era all’Eliseo, in un
incontro propiziato dal presidente François Hollande, con i pesi massimi
della diplomazia, ormai veterani della scena mondiale: il tedesco Frank
Walter Steinmeier, il britannico William Hague, il francese Laurent
Fabius, più Kerry e Lavrov. Ed eccola ieri presiedere un’importante
riunione sulla ricostruzione della Libia, dove in realtà si parla
soprattutto di Ucraina. Poi un incontro con il ministro degli esteri
israeliano Avigdor Lieberman. Il giorno prima era a Parigi, dove
partecipava a una conferenza sul Libano, con un ruolo attivo per il
quale il presidente libanese Michel Sleiman la ringraziava
pubblicamente.
L’esordio di Federica Mogherini è una full immersion nel marasma
internazionale, nelle acque agitate di una gravissima situazione
conflittuale, come quella ucraina, tenendo intanto d’occhio i tanti
focolai di crisi vicini e lontani. Idealmente, il nuovo ministro degli
esteri avrebbe voluto fare i primi passi un po’ più discretamente,
cercando pian piano di ambientarsi in un contesto complicato, e anche
molto maschile, come quello della Farnesina e più in generale della
politica estera. Eppure l’insieme di eventi e d’incontri di questi
giorni si è rivelato una straordinaria opportunità. Per farsi conoscere e
conoscere. Nel giro di pochi giorni, ha preso dimestichezza con i
personaggi chiave della diplomazia con i quali dovrà dialogare e operare
quotidianamente. Il suo non è forse innanzitutto un lavoro di
relazioni? Un inizio fortunato, insomma.
Conosciuta e stimata nella “comunità” degli esperti di politica
internazionale, Federica Mogherini non era una frequentatrice di talk
show. D’altra parte, si dice che la politica estera faccia calare gli
ascolti, anche se è da dimostrare che sia vero. Dunque, era un volto
poco noto alle “grandi masse”. Quando poi è entrata nel totoministri, si
è cominciato a chiedere chi fosse, e lei, sulla sua newsletter
blog.mog, si era schermita, non dando retta alle indiscrezioni, come
fanno di consueto i politici quando finiscono davvero nel giro che conta
davvero. In realtà, il ministero che le veniva attribuito dalle voci
era poca cosa rispetto a quello che poi Renzi le ha offerto. Ha preso il
posto di Emma Bonino, e c’è chi ha alzato le sopracciglia. Troppo
giovane? «Acerba»? «Per una donna di quarant’anni essere definita
“acerba” direi che è un complimento», replica lei con un tweet.
Alla Farnesina sono piacevolmente sorpresi dalla “stoffa” dimostrata
già nei suoi primi passi dal nuovo ministro. E sorridono quando sentono
dire da Renato Brunetta che «sembra stia giocando una squadra
primavera», alludendo a Mogherini, in contrasto con il «il protagonismo
di Berlusconi in tempi passati». Sono un ricordo ormai, tra i
diplomatici di lungo corso, il ricordo di un incubo, gli anni di
Berlusconi, quando era presidente del consiglio ma guidava anche gli
Esteri. E proponeva le sua diplomazia “personale”, la diplomazia delle
“pacche sulle spalle”, come ricetta per fare dell’Italia un paese chiave
nel club delle nazioni che contano.
E l’Italia, in effetti, deve e può contare di più, ma facendosi
rispettare, e facendo pesare la sua forza reale e la sua unica
collocazione geografica. Sarà anche solo per curiosità verso un
personaggio come Matteo Renzi, certo è che il nuovo governo italiano è
preso in considerazione come non capitava da tempo, forse dal periodo di
Prodi, quando però contava la sua notorietà “europea”. Ieri Renzi era a
Bruxelles era in un incontro ristretto sulla crisi ucraina con David
Cameron, Angela Merkel, François Hollande e Donald Tusk. In passato non
sarebbe stato scontato il coinvolgimento del premier italiano in un
vertice così. E il suo piglio non suonava sopra le righe quando,
lasciando Bruxelles, dopo il consiglio europeo, ha detto che «non
abbiamo rassicurazioni da dare» sullo stato dell’economia italiana e che
«rispetto a questo refrain italiano per cui l’Europa è vista come il
luogo dove si vengono a prendere i compiti per casa, va detto che
l’Italia sa da sola cosa fare, siamo consapevoli che le priorità sono
crescita e lavoro, lavoro e crescita».
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