venerdì 7 marzo 2014

Giovani e diplomatici

Guido Moltedo 
Europa  

L’esordio di Renzi e Mogherini nel marasma internazionale. Una full immersion “formativa” in incontri con i pesi massimi della politica internazionale
Fino a pochi giorni fa sedeva sui banchi della camera al fianco del veneziano Michele Mognato. Ieri era a tu per tu con il russo Sergej Lavrov. E poi in serata a villa Taverna, insieme con Matteo Renzi, a cena dall’ambasciatore americano, John R. Phillips, ospite d’onore il segretario di stato John Kerry. Il giorno prima era all’Eliseo, in un incontro propiziato dal presidente François Hollande, con i pesi massimi della diplomazia, ormai veterani della scena mondiale: il tedesco Frank Walter Steinmeier, il britannico William Hague, il francese Laurent Fabius, più Kerry e Lavrov. Ed eccola ieri presiedere un’importante riunione sulla ricostruzione della Libia, dove in realtà si parla soprattutto di Ucraina. Poi un incontro con il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman. Il giorno prima era a Parigi, dove partecipava a una conferenza sul Libano, con un ruolo attivo per il quale il presidente libanese Michel Sleiman la ringraziava pubblicamente.
L’esordio di Federica Mogherini è una full immersion nel marasma internazionale, nelle acque agitate di una gravissima situazione conflittuale, come quella ucraina, tenendo intanto d’occhio i tanti focolai di crisi vicini e lontani. Idealmente, il nuovo ministro degli esteri avrebbe voluto fare i primi passi un po’ più discretamente, cercando pian piano di ambientarsi in un contesto complicato, e anche molto maschile, come quello della Farnesina e più in generale della politica estera. Eppure l’insieme di eventi e d’incontri di questi giorni si è rivelato una straordinaria opportunità. Per farsi conoscere e conoscere. Nel giro di pochi giorni, ha preso dimestichezza con i personaggi chiave della diplomazia con i quali dovrà dialogare e operare quotidianamente. Il suo non è forse innanzitutto un lavoro di relazioni? Un inizio fortunato, insomma.
Conosciuta e stimata nella “comunità” degli esperti di politica internazionale, Federica Mogherini non era una frequentatrice di talk show. D’altra parte, si dice che la politica estera faccia calare gli ascolti, anche se è da dimostrare che sia vero. Dunque, era un volto poco noto alle “grandi masse”. Quando poi è entrata nel totoministri, si è cominciato a chiedere chi fosse, e lei, sulla sua newsletter blog.mog, si era schermita, non dando retta alle indiscrezioni, come fanno di consueto i politici quando finiscono davvero nel giro che conta davvero. In realtà, il ministero che le veniva attribuito dalle voci era poca cosa rispetto a quello che poi Renzi le ha offerto. Ha preso il posto di Emma Bonino, e c’è chi ha alzato le sopracciglia. Troppo giovane? «Acerba»? «Per una donna di quarant’anni essere definita “acerba” direi che è un complimento», replica lei con un tweet.
Alla Farnesina sono piacevolmente sorpresi dalla “stoffa” dimostrata già nei suoi primi passi dal nuovo ministro. E sorridono quando sentono dire da Renato Brunetta che «sembra stia giocando una squadra primavera», alludendo a Mogherini, in contrasto con il «il protagonismo di Berlusconi in tempi passati». Sono un ricordo ormai, tra i diplomatici di lungo corso, il ricordo di un incubo, gli anni di Berlusconi, quando era presidente del consiglio ma guidava anche gli Esteri. E proponeva le sua diplomazia “personale”, la diplomazia delle “pacche sulle spalle”, come ricetta per fare dell’Italia un paese chiave nel club delle nazioni che contano.
E l’Italia, in effetti, deve e può contare di più, ma facendosi rispettare, e facendo pesare la sua forza reale e la sua unica collocazione geografica. Sarà anche solo per curiosità verso un personaggio come Matteo Renzi, certo è che il nuovo governo italiano è preso in considerazione come non capitava da tempo, forse dal periodo di Prodi, quando però contava la sua notorietà “europea”. Ieri Renzi era a Bruxelles era in un incontro ristretto sulla crisi ucraina con David Cameron, Angela Merkel, François Hollande e Donald Tusk. In passato non sarebbe stato scontato il coinvolgimento del premier italiano in un vertice così. E il suo piglio non suonava sopra le righe quando, lasciando Bruxelles, dopo il consiglio europeo, ha detto che «non abbiamo rassicurazioni da dare» sullo stato dell’economia italiana e che «rispetto a questo refrain italiano per cui l’Europa è vista come il luogo dove si vengono a prendere i compiti per casa, va detto che l’Italia sa da sola cosa fare, siamo consapevoli che le priorità sono crescita e lavoro, lavoro e crescita».

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