Umberto Folena
Avvenire 11/3/2014
Noi che ci affanniamo a voler capire
che cosa sia successo alla tua povera mamma, invano. Noi che potremmo
cadere nella tentazione di darci una spiegazione frettolosa, per
placare la nostra angoscia di fronte all’abisso del Male che
inghiotte le sue vittime di sorpresa, scegliendole tra le più
innocenti (se no, che Male sarebbe?). Noi che oggi abbiamo paura.
Ricordi quel social network? A chi domandava: «Come distinguere una
persona buona da una cattiva?», tu rispondevi, con saggezza inusuale
in una ragazza di 13 anni: «Come fai a distinguere un piatto buono
da una cattivo? Assaggiandolo, no? Quindi bisognerebbe conoscerla
quella persona, prima di giudicare». Ecco, dovremmo conoscere la tua
mamma, prima di esprimere anche il più bisbigliato e cauto dei
giudizi. Tu la conoscevi.
E oggi sai. Quella che alzava su di te
il coltello non era "la tua mamma". Era un’altra persona.
La tua mamma si era persa come si sente perso chiunque abbia la
sensazione di non avere più alcuna speranza. «Ero disperata, sono
sola» avrebbe detto ai carabinieri al termine della sua confessione.
Il Male agisce così: ti toglie la speranza, ossigeno dell’anima.
Non basta: insinua una seconda falsa certezza, che tu sei solo e
nessuno può aiutarti. Chi poteva essere la speranza della tua mamma?
Per lei, nessuno. Non i parenti, non la gente della parrocchia.
Nemmeno tu, Simona. Proprio tu, a cui sono state negate milioni di
carezze, oggi ti chini dall’alto e distribuisci le carezze che non
hai ricevuto. Alla tua mamma, per prima.
Ovunque lei sia. Il suo corpo è in una
stanza d’ospedale, a curare le ferite che si è inferta. Ma la sua
anima vaga altrove, dove non si sa. Alla tua cugina che ti scrive:
«Ti voglio bene, amore mio, questo non scordarlo mai. Ora devi
proteggermi tu da lassù». Anche al tuo papà, che ignoriamo come se
ne sia andato di casa: se con indifferenza, o con la morte dentro; se
con sciocca baldanza, od oppresso da dubbi e rimpianti.
E a tutti noi disorientati. Soltanto le
tue carezze potranno rendere meno duro e più tenero il nostro cuore.
Il cuore di chi si gira ostinatamente dall’altra parte. Il cuore di
chi, credendosi solo, si sente in dovere di infliggere solitudine
intorno a sé. Il cuore di chi, pochi minuti dopo la tragedia,
tuonava: «A morte l’assassino!». Soltanto cuori più teneri
potranno ricostruire la rete di amicizia, simpatia, solidarietà,
condivisione che rende la società più umana e ci fa sentire meno
soli e mai, mai, mai disperati. Ma il cuore non basta.
Ricordi quell’altra domanda sul
social network: «Se tu fossi un contadino, che cosa coltiveresti?».
Con l’intelligenza spiazzante di chi evita le risposte prevedibili,
scrivevi: «Cervelli. Ne servirebbero molti». Accarezzare i
cervelli, Simona. Soltanto tu puoi provarci. Accarezzarli per
svegliarli. Renderli meno pigri. Più attenti agli altri. Capaci di
dire le parole giuste nel momento giusto. E capaci di tacere. Come
adesso.
(Simona, 13 anni, è stata uccisa a
coltellate nella sua casa di Lecco assieme alle due sorelline minori.
La mamma, che era appena stata lasciata dal marito, ha confessato il
triplice omicidio).
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