sabato 17 agosto 2013

Cairo, venerdì rosso sangue

Luca Gambardella 
Europa  

Cronaca di una giornata drammatica. Gli scontri armati non si fermano in molti punti della città. Devastazioni nei luoghi di culto: alle fiamme una chiesa cristiana. Il nostro reportage dal Cairo
La resa dei conti è iniziata. Le forze di sicurezza egiziane hanno sferrato ieri quello che potrebbe essere il colpo di grazia agli oppositori del colpo di stato del 30 giugno scorso. Circa 28 marce erano state pianificate ieri dai Fratelli Musulmani in diversi punti del Cairo. La conta dei morti al momento parla di una cinquantina di vittime solo nella capitale, cinque a Fayoum a sud del Cairo, otto a Damietta, altre cinque ad Alessandria. Numeri impietosi destinati a crescere.
Cairo, venerdì rosso sanguePiazza Ramsees, poco distante da piazza Tahrir che nel frattempo è stata recintata dai tank dell’esercito, ieri sera era un campo di battaglia. Anche questa mattina la situazione non è tranquilla. Si parla di decine di morti i cui corpi sarebbero stati trasportati all’interno dell’adiacente moschea di Fath e in una clinica limitrofa. Si presta soccorso in condizioni di grave emergenza per la carenza di medicine e posti letto. Lealisti e poliziotti si sono appostati sui tetti degli edifici che circondavano la piazza e hanno cominciato a lanciare bombe molotov e a sparare contro i manifestanti. Dinamica simile a quella che aveva portato al massacro di Rabaa al-Adaweyya tre giorni fa. I lacrimogeni della polizia stanno sollevando un denso fumo nero proveniente dalla piazza. Al momento della nostra ultima visita a Ramsees, intorno a mezzogiorno di ieri, la piazza era occupata da uomini di ogni età, radunatisi lì per la preghiera e pronti a marciare verso la Corniche che costeggia il Nilo.
Ma gli scontri nella capitale si sono svolti ovunque. Sul Ponte del 15 maggio, che porta al quartiere residenziale di Zamalek, sono ancora in corso scene di guerriglia tra pro e anti Morsi. Dopo poche ore di combattimenti, centinaia di sostenitori dei Fratelli Musulmani, chiusi in una morsa, si sono ritrovati sotto il tiro dei proiettili delle forze di sicurezza sparati dai lati del ponte. Alcuni di loro, per salvarsi dalle pallottole, hanno preso a lanciarsi nel Nilo con un volo di decine di metri. Mentre gli elicotteri militari sorvolano da ore la città, colpi di armi automatiche sono udibili in gran parte dei quartieri del Cairo, da Ramsees a Zamalek, dal Ponte 6 ottobre, a Giza e a Dokki.
I punti nevralgici restano Piazza Ramsees e la Corniche el-Nil. Fra questi due estremi è infatti situata piazza Tahrir e un’eventuale avanzata delle marce potrebbe trascinare il Cairo in un enorme campo di battaglia. Per questo motivo l’esercito ha chiuso ogni accesso alla piazza simbolo del sostegno ai militari.
Ma gli episodi di violenza hanno portato anche a devastazioni dei luoghi di culto. Al Arabiya ha informato che alcuni dei sostenitori dei Fratelli Muslmani hanno dato alle fiamme una chiesa cristiana nel quartiere di Maadi, mentre fonti non confermate parlano di scritte e graffiti sulle mura di altri luoghi di culto cristiani.
Per le strade si susseguono check point di militari e civili, anch’essi armati, che sorvegliano gli ingressi circostanti il centro del Cairo. Tutti gli altri quartieri lontani dagli scontri sembrano deserti. I residenti di Mohandessin, Zamalek e attorno piazza Tahrir, restano chiusi all’interno delle loro abitazioni e i negozi sono serrati. La principale preoccupazione è che il momentaneo stato di guerra possa protrarsi anche per i giorni a venire lasciando l’Egitto nel caos e nella paura.
Gli scontri di ieri erano attesi. Le marce indette dagli oppositori al governo insediato dai militari, hanno mobilitato sia membri della Fratellanza musulmana, sia coloro che si sono sentiti in dovere di manifestare il loro dissenso dopo le stragi di Rabaa e di el-Nahda di tre giorni fa. Il movimento Tamarod, fermo sostenitore dell’esercito e del governo presieduto da Adli Mansour, ieri mattina ha diramato un comunicato incitando la polizia a fare tutto il necessario per difendere gli egiziani dai pro-Morsi. «Chiediamo alla polizia di intraprendere ogni misura necessaria per reprimere le manifestazioni di dissenso» recitava il messaggio rivolto dal movimento. Nel frattempo, il portavoce del Fronte di Salvezza Nazionale (FSN) Khaled Daud, il principale partito al governo, ha da poco rassegnato le dimissioni condannando la bruta repressione delle manifestazioni di oggi da parte delle forze di sicurezza. Le dimissioni di Daud seguono quelle di ieri avanzate dal leader del FSN, Muhammad el-Baradei. Altro segno della frattura esistente all’interna del gabinetto governativo egiziano. L’illusione del colpo di stato “guidato dal popolo” è già finita.

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