venerdì 5 giugno 2015

Un po’ di comprensione per le fatiche di Renzi


Corriere della Sera
Michele Salvati
In un recente articolo ho usato la metafora della sesta fatica di Ercole — la meno eroica ma la più difficile — per dare un’idea della situazione in cui si trova chi voglia tornare a far crescere il nostro Paese. Per ripulire le stalle di re Augia, Ercole ricorse a un metodo drastico: deviò due fiumi e ne fece passare le correnti attraverso le stalle. Un metodo rapido e efficace. Un metodo altrettanto rapido ed efficace non esiste per l’Italia: una corrente vorticosa, insieme alla sporcizia, si porterebbe via le stalle. Fuor di metafora, ci porterebbe al disastro. E questo per due motivi principali.
Il primo è per la situazione internazionale in cui viviamo e per i trattati che abbiamo sottoscritto in sede europea. In gran parte degli economisti è ormai prevalente la convinzione che la moneta unica, e le regole che la disciplinano, siano state un errore, e che l’austerità che esse inducono condannino l’intera Europa, ma soprattutto i Paesi meno efficienti e competitivi, a una progressiva asfissia. Ma non potremmo uscire dalla gabbia dei trattati? Certo, questo non risolverebbe il problema della scarsa efficienza del nostro sistema-Paese e le riforme sarebbero ancora necessarie se si ambisce a una crescita non effimera; ma intanto potremmo respirare e distribuire l’impoverimento che consegue a ogni svalutazione su tutti i cittadini, e non solo sui lavoratori, che è quanto ora stiamo facendo. Questo suggerimento non viene solo dall’estrema sinistra, o da incompetenti di economia. Viene anche da un noto rappresentante dell’«ideologia tedesca», direttore del più importante istituto di ricerca economica del suo Paese, Hans-Werner Sinn: ma anche il suo ponderoso e documentato libro (The Euro Trap, Oxford University Press) non risponde all’interrogativo se la catastrofe finanziaria che conseguirebbe al solo sospetto che alcuni importanti Paesi intendono uscire dalla moneta unica non sia assai peggio dell’asfissia in cui ci troviamo: allora sì che il vortice delle fughe di capitali, della speculazione, dei fallimenti bancari, si porterebbe via le nostre fragili stalle. Per fortuna non credo che Renzi, per quanto a volte dia l’idea di volersi staccare dalle gonne della Merkel — e fa bene a darla — abbia l’intenzione di staccarsi dai pantaloni di Draghi.
Ma perché sono così fragili le nostre stalle e così poco adatte a misure di rafforzamento rapide e risolutive, misure che ci consentirebbero di essere competitivi e crescere anche sotto la disciplina della moneta unica? Lo sono perché sono piene di crepe da tutte le parti, perché le inefficienze sono diffuse in quasi tutti i comparti del nostro sistema-Paese. È dal fallimento del centrosinistra, da più di quarant’anni, che l’Italia vive alla giornata, che la lotta politica riguarda non diversi progetti di futuro ma diverse modalità di ottenere — a spese dello Stato e gonfiando la spesa corrente — un consenso elettorale nel presente. E anche quando si ruppe l’infausto equilibrio politico della Prima Repubblica, e i primi otto anni di moneta unica ci regalarono risorse eccezionali a seguito del crollo dei tassi di interesse, queste furono sprecate per ottenere consenso, non per mettere in sicurezza il Paese. E poi, nel 2008, è arrivata la crisi finanziaria americana e la festa è finita.
Dunque crepe da tutte le parti, non un singolo grande ostacolo su cui concentrare le scarse risorse di cui disponiamo, ma numerose inefficienze e ingiustizie (le due vanno spesso insieme) da affrontare con un doloroso bisturi, e non con una semplice sciabolata. Inefficienze e ingiustizie nel settore pubblico e privato: nel regime fiscale, nella scuola, nella giustizia, in quasi tutti i comparti della pubblica amministrazione, nella legislazione sul lavoro e sul welfare, nelle imprese e nel sistema finanziario, nel Mezzogiorno — e sarebbe impietoso continuare — tutte dovute all’assenza di un progetto di futuro che avrebbe consentito un lavoro continuo di manutenzione, di indirizzo e investimento. Ora la manutenzione ordinaria si è trasformata in straordinaria, di grasso che cola ce n’è poco, e il bisturi ancor più doloroso. E soprattutto i tempi in cui le riforme manifesteranno i loro effetti benefici saranno molto lunghi se l’austerità europea non viene rapidamente rovesciata, il che è improbabile: gli effetti di quarant’anni di vista corta, avrebbe detto Tommaso Padoa-Schioppa, non si cancellano in un breve periodo. La difficoltà nel far passare le riforme, la lentezza dei loro tempi, l’impossibilità di presentare risultati tangibili subito, sono una dannazione per un politico che voglia mantenere un continuo consenso elettorale, inducendolo a strafare con presenzialismo mediatico e annunci. Uno strafare che spesso dà fastidio anche a me.
Questa è la situazione in cui si trova Renzi e, se non mi sorprende la reazione dei rottamati, degli spodestati, degli aggrediti — ex leader, sindacati, mandarini di Stato, giudici, settori dell’imprenditoria — un poco mi meraviglia lo scarso sostegno dei principali organi d’opinione. «Nella pentola che bolle c’è solo acqua», titola Scalfari il suo articolo di domenica scorsa. Ma, appunto, l’acqua bolle ed è predisposta a cuocere le riforme che Renzi ha già lanciato o annunciato, elettorali, costituzionali, del lavoro, della pubblica amministrazione. E non sono acqua fresca — al contrario, bollente — le battaglie che Renzi sta conducendo nel suo partito. Se avranno successo, trasformeranno un raggruppamento conservatore di ex democristiani ed ex comunisti in un moderno partito di sinistra europea, come aveva tentato di fare Veltroni: del tutto condivisibile l’editoriale di Angelo Panebianco domenica scorsa sul Corriere. E infine il disegno strategico è chiaro, ivi incluso l’accordo politico con Berlusconi: sta ora al centrodestra darsi una forma che gli consenta di combattere efficacemente con il Pd nel contesto bipolare e nel modello costituzionale che hanno deciso di costruire insieme.

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