sabato 6 giugno 2015

Le grandi sfide che attendono il Partito socialista europeo


David Sassoli
I partiti socialisti segnano il passo. In Spagna meglio del previsto, ma in affanno e in ricorsa; in Polonia, ai minimi storici. Altre debacle hanno coinvolto paesi di antica tradizione. Le posizioni antieuropee avanzano in ordine sparso e con spinte contraddittorie: per alcuni si tratta di prendere atto del fallimento del progetto europeo; per altri, di reclamare un'altra Europa dai contorni imprecisati. Di mezzo, un assetto istituzionale pieno di falle che continua a produrre indecisioni, ritardi, compromessi al ribasso. L'Europa deve cambiare. Ma per cambiare deve ritrovare il senso di un percorso democratico, in cui il peso dei governi non sia predominante, e in cui Parlamento europeo e Commissione europea diventino l'architrave della democrazia europea.
Questa è la sfida per gli europeisti, sempre in bilico fra difesa dello status quo e perenne ricerca di leadership illuminate. Per rompere il fragile equilibrio servono veri partiti europei. Quali altri strumenti possono consentire di costruire reti di cittadini, collegare esperienze nazionali, definire programmi? Senza partiti europei non sarà possibile concludere la costruzione della democrazia europea. Certo, servono partiti molto diversi da quelli attuali, oggi simili a cooperative da rispolverare nelle buone occasioni. Per il Partito socialista europeo una occasione per "cambiare verso" è rappresentata dal prossimo congresso che si svolgerà a Budapest dall'11 al 13 giugno. Il dibattito non è fra i più entusiasmanti e l'assise rischia di rivelarsi una conta fra i due pretendenti: il segretario uscente, il bulgaro Stanishev e il veterano spagnolo Baron Crespo. La loro campagna elettorale è in corso, condita da prese di posizione contro la politica del rigore e contro la deriva populista. Sul tema della "natura" del partito e della sua identità il dibattito è sfumato. Per noi, democratici italiani, la necessità di ripensare a questo contenitore, invece, è una priorità. A partire dal cambiamento del nome, che può costituire una grande chance di allargamento e apertura nei confronti di esperienze che non si riconoscono nella tradizione socialista, ma hanno affinità e prospettive comuni.
La questione della costruzione del Partito dei socialisti e democratici europei é ineludibile. Il recinto dei vecchi partiti, d'altronde, è ormai troppo piccolo e angusto. Un buon esempio arriva proprio dal gruppo dei Socialisti & Democratici all'europarlamento in cui sono confluite esperienze che hanno saputo coniugare tradizioni diverse, ma indissolubilmente legate da una prospettiva progressista. Cosa sarebbe oggi il gruppo parlamentare senza la delegazione del Pd? Nella stessa direzione procede anche l'attività del Progressive Alliance, in sostituzione della vecchia Internazionale socialista.
Da Stanishev e Baron Crespo, che si confronteranno a Strasburgo davanti al gruppo parlamentare S&D, aspettiamo una parola chiara e un impegno inderogabile. Per il Pd non si tratta di una battaglia nominalista, ma della capacità del Pse di saper cogliere, come ha detto Matteo Renzi commentando le elezioni in Spagna e Polonia, "il vento del cambiamento" che tira forte in Europa. Non affrontare la questione o, peggio, far finta di nulla, sarebbe rinunciare ad avere strumenti idonei per costruire un sistema politico europeo più democratico e meno condizionato da egoismi nazionali e convenienze governative. Il Pd, primo partito del Pse alla sua prima prova congressuale, non può rinunciare a dare voce ad una nuova prospettiva europeista. Il vento populista, d'altronde, tira radente e potrebbe non aspettarci.

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