lunedì 8 giugno 2015

“Corrotti fuori per sempre e mai leggi ad personam” Renzi apre sulla scuola ma boccia il reddito minimo.


ALBERTO D’ARGENIO
La Repubblica 7 giugno 2015
Il premier Lo scandalo Mafia Capitale nell’intervista a “Repubblica delle Idee”. “Potevamo far di più, ma la risposta ora c’è” L’altolà ai dissidenti del Pd: “Dalla base email per dirmi di farli fuori tutti In una comunità si rispettano le regole sennò è un partito anarchico”
Chi è condannato per corruzione deve uscire per sempre e «senza pietà» dalla politica, ma fino a quel momento vale la presunzione di innocenza e resta al suo posto. E ancora, no al reddito di cittadinanza e apertura alle modifiche sulla riforma della scuola. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi arriva a Genova per “Repubblica delle Idee”. Intervistato sul palco del Carlo Felice dal direttore di Repubblica Ezio Mauro, il premier-segretario spiega che alla direzione del partito di domani aprirà una discussione sulle primarie ma pensando alla minoranza insiste che chi perde le battaglie interne poi deve accettarne il risultato. «Altrimenti diventiamo un partito anarchico».
Presidente, ritiene di avere vinto o perso alle regionali?
«Il Pd ha vinto, governiamo 17 regioni e abbiamo un consenso nel Paese che è il più forte di tutta la sinistra europea. Però non basta. Avere qualche battuta d’arresto sul tema dell’astensionismo e nella lotta con Grillo e Salvini è un segnale da non sottovalutare. Il Pd deve fare una riflessione, peraltro benvenuta: una settimana fa tutti a dire che ci trovavamo di fronte alla svolta autoritaria del Pd di Renzi, oggi siamo nella terapia di gruppo all’insegna dell’ “abbiamo perso le elezioni”. Un po’ di buon senso ci aiuta sempre a rimetterci in gioco. Non dimentichiamo però che mai c’è mai stato un partito al 40% che domina 17 regioni».
Mettendo insieme Veneto e Liguria è sembrato che la dichiarazione d’amore tra il renzismo e il Nord si sia rivelata un flirt estivo.
«Non so se sia un rapporto occasionale, ogni elezione ha una storia a sé. Abbiamo avuto risultati straordinari non solo al Sud, ma anche in alcuni comuni del Nord e per questo dire che il Nord ha avuto soltanto un’esperienza occasionale mi sembra riduttivo. Secondo me la partita è ancora molto aperta».
E’ la prima occasione per guardare in faccia i cittadini della Liguria che hanno voltato le spalle al Pd: cosa gli vuole dire?
«Che il Pd rifletterà perché i cittadini non sbagliano mai».
Cos’è andato storto?
«Se abbiamo perso in Liguria abbiamo sbagliato noi, quelli che trovano alibi o che maramaldeggiano lo sconfitto addossandogli le colpe si comportano in un modo indegno di una comunità. Ma è altrettanto evidente che in Liguria, come nelle altre regioni, ci siamo affidati alla scelta del candidato alle primarie e allora se il Pd vuole discutere di candidature fatte bene o male deve avere il coraggio di chiedersi se le primarie siano uno strumento che va bene oppure no. Se vogliamo cambiare si fa una grande discussione, la inizieremo in direzione. Una volta esaurita la discussione però dovrà essere chiaro a tutti che quando stai dentro ad una comunità ne rispetti le regole perché sennò non è più il Partito democratico ma un partito anarchico».
Però chi guida la barca ha la responsabilità di tenere tutti a bordo mentre lei dà spesso l’impressione di mettere nella stiva chi viene dai Ds. Loro non sono inquilini morosi, sono padroni di casa come lei.
«Tutti e sette i candidati alle regioni venivano dai Ds e nel mio governo non c’è che da contarli. Mi si accusa di metterli in un angolo? Dipende dal tema. Sulla legge elettorale sì, perché dopo anni in cui si continuava a rimandare era arrivato il momento di decidere. Sul lavoro anche, perché le nostre riforme sono molto più di sinistra di quelli che fanno i convegni e vedono chiudere le fabbriche».
Sulla scuola procederete allo stesso modo?
«No, sulla scuola no. Abbiamo bisogno di ascoltare e abbiamo aperto un cantiere perché se mettiamo un miliardo in più, assumiamo 100mila persone, diamo più soldi ai prof e abbiamo fatto arrabbiare tutti vuol dire che qualcosa non ha funzionato e il colpevole sono io, ho fatto un bel capolavoro. Serve un confronto ma non ci arrenderemo a chi dall’alto delle sue posizioni di rendita pensa che la scuola sia intoccabile. Ci metteremo una settimana in più ma poi decideremo».
Lei può prendere l’impegno che non farà leggi ad personam per De Luca?
«Assolutamente sì, il tempo delle leggi ad personam è finito. La Severino prevede la sospensione e il governo farà ciò che deve fare a norma di legge. E’ un problema da risolvere ma oggi modificare la Severino sarebbe un atto ad personam e noi non ne facciamo. Questo paese ha bisogno di regole più chiare e semplici e chi viene condannato deve uscire definitivamente dalla politica».
Però non si può delegare tutto alla magistratura. C’è un problema di selezione della classe dirigente del suo partito?
«E come si fa a selezionarla? Facciamo le primarie o cambiamo radicalmente?».
Il caso di Roma è drammatico perché si lucra sugli immigrati e per la subordinazione della politica al malaffare.
«Sottoscrivo».
Lei ha un sottosegretario dell’Ncd, Giuseppe Castiglione, indagato. E ha detto che non si fa dimettere qualcuno per un avviso di garanzia. Si può andare avanti così?
«Io ho anche un padre indagato qui a Genova e se mi fossi basato sugli avvisi di garanzia avrei dovuto impedire ai miei figli di vedere il nonno. Invece dopo otto mesi la procura ha fatto richiesta di proscioglimento. Ho cinque sottosegretari con l’avviso di garanzia, tre del Pd, ma siccome ho giurato sulla Costituzione penso che un cittadino sia innocente finché non è provato il contrario. Questo per me è il discrimine tra giustizia e giustizialismo. Non mi troverà mai dalla parte di quelli che chiedono le dimissioni per un avviso di garanzia, a meno che non ci siano evidenti motivi di opportunità. Se invece sei colpevole saremo senza pietà, vai subito a casa».
E sul Campidoglio?
«Marino e Zingaretti hanno dimostrato con il proprio lavoro di essere altro rispetto alla cricca dell’inchiesta su Roma. Dobbiamo riconoscere i colpevoli veri senza sparare nel mucchio. Se dicono che il Pd è coinvolto mi devono dire nome e cognome e se poi lo è davvero lo cacciamo e se deve andare in carcere ci deve stare dentro fino all’ultimo giorno».
Ritiene che la crisi economica sia finita?
«No, non ne siamo ancora fuori, lo saremo quando recupereremo un posto di lavoro in più rispetto ai 927mila persi negli ultimi cinque anni. Inoltre nella grande discussione sulla sinistra sarebbe interessante ragionare sul reddito di cittadinanza che secondo me è incostituzionale. L’articolo 1 della Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Affermare che il compito della politica sia dare un assegno a chi non ha lavoro per me è la cosa meno di sinistra che esista. Il compito della sinistra è creare le condizioni perché ci sia un lavoro per tutti, non l’assistenzialismo per tutti. Ovviamente se uno perde il lavoro è giustissimo farsene carico».
Lei ha detto che se facciamo le riforme a settembre andremo in Europa a fare casino. Cosa pensa di fare?
«L’Italia in questi anni ha fallito perché non ha fatto le riforme e perché l’Europa ha sbagliato strategia scegliendo una strada tutta legata al rigore. Le riforme sono la premessa per poter dire che adesso dobbiamo discutere del futuro dell’Europa, che è arrivato il momento di credere di più negli investimenti, che l’Europa solida e solidale non può essere quella dello spread. Per me questa è la sinistra, non quella del Podemos o del Dovemos. Le riforme sono la premessa per andare in Europa a combattere questa battaglia e a quelli che vogliono bloccare l’Italia rispondo che possono mandarci a casa, ma non fermarci».
Però non tutti quelli che le fanno obiezioni o la criticano vogliono necessariamente bloccare le riforme. Non sono dei gufi. Lei ogni tanto dà l’impressione che quando è al bivio tra la scelta politica e quella muscolare sceglie sempre la seconda.
«Io penso che se sulla legge elettorale non avessi fatto una scelta muscolare avrei fatto un danno al Pd e all’Italia. Dopodiché si può anche sbagliare».
Perché rinuncia all’unità del partito e si accontenta di essere segretario solamente di metà del Pd?
«Tenere compatto il Pd è responsabilità del segretario, ma c’è bisogno di regole condivise, se aderisci a un partito politico e perdi una battaglia non hai diritto di uscire spaccando la porta e portando via il pallone. Altrimenti è finita la storia del Pd».
Se il Partito della nazione da lei evocato significa un fusto ben piantato a sinistra ma con le fronde che arrivano al centro, è quello che la sinistra aspettava da sempre. Se invece è un partito della sostituzione in cui si usano ceti e interessi per sostituirne altri, molta gente non ci starebbe.
«Ovviamente sogno un Pd che sia della nazione nel senso che sappia parlare con tutti, senza la puzza sotto il naso e che capisca che quando vai alle elezioni devi prendere anche i voti degli altri partendo però dalle radici di quello che sei».
Una leadership si misura dalla capacità di tenere insieme la comunità che si guida: alla direzione del Pd ci andrà vestito con la mimetica come in Afghanistan?
«Gli iscritti che ci scrivono via mail vorrebbero ci andassi direttamente con i reparti speciali. Girando per le cucine delle Feste dell’Unità trovi gente che non ha votato per me alle primarie ma mi dice: “Falli fuori tutti”. Naturalmente non è questa la soluzione. Faremo una riflessione su quanto accaduto, offriremo un dibattito vero ma chiederemo lealtà di comportamenti perché se uno in nome del proprio interesse rompe le regole del gioco non c’è futuro per una comunità».

Nessun commento:

Posta un commento