lunedì 22 giugno 2015

«Caro D’Alema, sì al dialogo ma sono le polemiche interne ad aver deluso i militanti».


Corriere della Sera del 20/06/15
Marco Galluzzo
«Non vorrei deluderla ma non intendo fare polemiche». 
La polemica che Lorenzo Guerini non vuole fare è con Massimo D’Alema. Il vicesegretario del Pd ha letto quello che l’ex premier ha detto al Corriere , non lo condivide, «ma con lo stesso garbo con cui ha ci invitato a riflettere possiamo confrontarci». 
 
D’Alema dice che avete perso milioni di voti e state deludendo il vostro elettorato. 
 
«Innanzitutto se guardiamo al risultato elettorale nel suo complesso, possiamo dire che c’è stato un esito positivo per il Pd, altra cosa sono stati i ballottaggi, per i quali abbiamo subito manifestato la nostra parziale insoddisfazione. Il vero punto è che valutare i risultati del partito quando ci sono tante liste civiche e confontarlo con le Europee è fuorviante. Da questo punto di vista il riferimento è quanto emerso nella direzione dopo il voto: continuare, aperti al confronto, ma senza indugio, nel percorso delle riforme». 
 
Sareste stati anche sprezzanti di fronte all’abbandono di tanti dirigenti del partito. 
 
«In generale su quello che è successo negli ultimi mesi potremmo anche interrogarci su come siamo arrivati alle elezioni, con le tante polemiche interne, con il piacere di alcuni di mostrare le nostre divisioni, atteggiamenti che credo abbiano in parte influito sul voto. Se c’è una cosa che ci chiedono i nostri militanti è unità e di non caratterizzarci per le polemiche. Poi sinceramente non vedo questa diaspora di dirigenti, alcuni hanno scelto di seguire Civati ma non riscontro alcuna emorragia. Il Pd è consapevole delle proprie responsabilità di governo e, dentro questo sforzo, tutti devono trovare la capacità di sostenerlo. Abbiamo bisogno di un sostegno corale, non della polemica fine a sé stessa o della critica aprioristica. Non è un compito facile cambiare un Paese, certamente ci vuole il dialogo dentro il partito e dentro la maggioranza, e credo che sia stato dimostrato su tutti i passaggi più impegnativi, ma il nostro sforzo sarà più proficuo partendo dai risultati che abbiamo raggiunto, per certi versi straordinari, dal Jobs Act alla legge elettorale, da come stiamo investendo sulla Pubblica amministrazione e sul fisco: il Paese ci chiede di confrontarci su questi temi e non su dibattiti proiettati al nostro interno». 
 Molte delle vostre misure hanno colpito, e «disamorato», il vostro elettorato. È falso anche questo? 
 
«Siamo di fronte a una crisi sociale ed economica per certi versi storica, eppure stiamo realizzando un cambiamento portentoso, dimostrando che la politica può e sa decidere, prima condizione per contrastare le derive populiste e dell’antipolitica. Siamo alla guida del governo con il segretario del partito, abbiamo il gruppo parlamentare più numeroso della storia della Repubblica, governiamo in 17 Regioni e migliaia di Comuni, siamo il più grande partito della sinistra europea. Il tema non è che non è ammessa la critica ma che qualcuno si dimentica dei risultati: vanno interpretati alla luce della responsabilità che abbiamo verso gli italiani». 
 
Non mi ha risposto. 
 
«Insomma, il tema non è capire se i nostri provvedimenti sono di sinistra o meno come dice D’Alema, il punto è se siamo capaci di fare riforme che servono all’Italia. Gli 80 euro non sono di sinistra? Una riforma del mercato del lavoro che rende più facile trovare un’occupazione stabile e che riduce il precariato, non è di sinistra? Il problema non sono le etichette, sono le vere riforme, purtroppo lo sforzo riformatore del Paese troppo spesso trova ostacoli anche al nostro interno». 
 
«Garbatamente» D’Alema vi fa anche notare che non potete andare avanti con i voti di Verdini. 
 
«É un argomento trito e ritrito, nei fatti non si è mai realizzato. Noi vogliamo governare e cambiare l’Italia con la nostra maggioranza, a partire dal Pd. E se su alcuni provvedimenti si aggiungono i voti di altre forze politiche è solo un bene, essendo riforme di sistema e che riguardano tutti». 


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