giovedì 25 giugno 2015

Profughi siriani in Libano. Un dramma che rischia di far saltare non solo il Libano ma anche l'Europa.


David Sassoli 
25 giugno 2015
A quaranta chilometri da Beirut va in scena una tragedia umanitaria che rischia di far saltare il Libano ed esplodere in Europa. Campi profughi nella Valle della Beqa' e altrove accolgono oltre un milione e mezzo di fuggiaschi siriani e iracheni. Sono famiglie, in gran parte classe media, fuggite dai territori incendiati dalla guerra. Un'onda che si riversa in un paese grande quando l'Abruzzo, con 4 milioni di abitanti. E cosa peggiore, si tratta di una bomba umanitaria a ridosso di un fronte di guerra. La tensione è altissima. E non si tratta di un caso isolato. La Giordania è nelle stesse condizioni e anche alla frontiera turca la pressione non accenna a diminuire. Trasferire qui a Beirut le riflessioni e le polemiche che si sviluppano in Europa sul numero dei migranti appare quantomeno stonato.
Incomprensibile ai più discutere di qualche decina di migliaia di rifugiati aventi diritto da proteggere fra 28 paesi. Anche perché in questa regione si ferma una grande quantità di persone che potrebbe arrivare in Europa. E con lo status di rifugiati c'è l'obbligo dell'accoglienza. Dove dirigersi, d'altronde? Dove cercare di andare, quando si scappa dalla Siria con moglie, figli da mettere al sicuro? Nei nostri confronti insomma, è attiva una forma di protezione che spesso ignoriamo e troppe volte consideriamo scontata. In ogni caso si tratta di valutazioni irresponsabili che contraddicono anche i toni di un dibattito che batte sul tasto di aiutare i paesi arabi per non far partire i migranti. Quante volte abbiamo sentito dire "aiutiamoli a casa loro"? Bene, in Libano, Giordania e Turchia la possibilità di sviluppare questo impegno concreto non manca. Ed è nel nostro interesse sostenerlo. Progetti di accoglienza e di assistenza corrono sullo stesso binario. In Libano ben 400mila giovani rifugiati sono senza occupazione e senza scuola. Le loro condizioni costituiscono una riserva di caccia per le formazioni jiadiste. Il pericolo è ben presente alle autorità libanesi impegnate nel contrasto con frazioni dell'Isis già presenti nel paese dei Cedri. È di pochi giorni fa la notizia di una importante postazione recuperata dai miliziani hezbollah proprio in territorio libanese, a un centinaio di chilometri da Beirut.
Di sicurezza nell'area del Mediterraneo si è parlato molto nel corso della Conferenza per la revisione della politica di vicinato, che si è svolta nella capitale libanese. A parte Turchia, Libia e Israele, tutti i paesi della sponda sud erano presenti a livello di ministri degli Esteri. "L'Europa può fare molto, se solo volesse", mi ha detto l'esperto segretario della Lega Araba, Nabil el-Araby. Il vento populista e islamofobico che scuote l'Unione viene seguito con grande attenzione. E preoccupa. "La crescita dell'estrema destra in Europa può rappresentare un pericolo per la democrazia nella regione", ha avvertito il ministro degli Esteri palestinese. Anche dai respon-sabili degli Esteri di Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Giordania é arrivato un forte richiamo per un vero rilancio della politica dell'Unione per il Mediterraneo. Una valutazione che non possiamo lasciar cadere e su cui dobbiamo investire. Ma è tutto nella disponibilità dell'Europa? Il mio invito è stato rivolto ai paesi arabi, a recuperare forme di dialogo fra loro in grado di superare i conflitti - vedi il caso Libia - e poter confrontarsi con l'Ue senza il peso di relazioni privilegiate con i singoli Stati europei. È nel loro interesse, d'altronde, esprimere valutazioni condivise. Le crisi, ancora una volta, possono aiutarci a voltare pagina e a intraprendere strade nuove. Quelle che finora i governi europei, per un miope interesse nazionale, non hanno voluto percorrere.


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