mercoledì 3 giugno 2015

La fine di un modello. Il centrodestra senza più equilibrio.


Francesco Verderami
Il Corriere della Sera 3 giugno 2015 

Quasi tutti inneggiano all’unità ma tutti o quasi continuano a dividersi. Nemmeno si è concluso lo spoglio delle Regionali che già i verdiniani preparano l’ennesima diaspora nei gruppi parlamentari di Forza Italia, mentre in Ncd l’ex ministro De Girolamo e soprattutto il coordinatore nazionale Quagliariello allargano la faglia nel partito tra quanti vorrebbero proseguire l’esperienza di governo e quanti invece mirano al «chiarimento» per dargli un taglio definitivo. La verità è che il voto di domenica ha sancito la fine del vecchio centrodestra, perché era chiaro che la clamorosa vittoria di Toti in Liguria non avrebbe potuto coprire del tutto l’emorragia di consensi azzurri, dettata (anche) da altre sfide fratricide in Puglia, in Campania, in Toscana... 
 In quello che un tempo è stato il fronte moderato si assiste a una forma di cannibalismo politico, un meccanismo di auto distruzione dei partiti di appartenenza. Il processo era già iniziato, ma ora ha subito un’accelerazione per effetto del successo della Lega, che conquistando il primato nelle urne sta determinando una mutazione genetica nell’area guidata per venti anni da Berlusconi. Così, il laboratorio del nuovo centrodestra somiglia tanto al vecchio centrosinistra, e non solo per l’immagine del partito più forte che progetta di attrarre al suo progetto alleati in certi casi ridotti al rango di cespuglio. Ma soprattutto perché nella coalizione il ruolo guida toccherebbe a una forza posta all’ala dello schieramento, come lo erano i Ds nell’Unione. 
 Certo Salvini ieri ha ammorbidito i toni, e sebbene abbia rivendicato il ruolo di anti-Renzi in virtù del risultato, è consapevole che del futuro rassemblement lui potrà essere «il lievito», che insomma al momento opportuno accetterà di discutere sul nome di un altro eventuale candidato premier. Ma sulla centralità della Lega non intende fare transazioni, un altro aspetto che ricorda il centrosinistra del passato, quando D’Alema diceva a Prodi: «Noi le conferiamo la nostra forza». È un punto fondamentale, non a caso Salvini batte sempre il tasto sul «nostro programma», prima di dire che con Berlusconi l’intesa sui «contenuti» si può fare: «Ma sull’Europa la pensiamo diversamente...». E la politica estera — come l’economia — fu uno dei nodi che soffocò i governi del centrosinistra. 
 Ecco il rebus che sembra al momento irrisolvibile. Per dirla con l’ex ministro Matteoli, «ricostruire il centrodestra è indispensabile. Ma non possiamo farlo attorno a Salvini, così come non è più possibile farlo attorno ai vecchi equilibri». Il leader del Carroccio lascia che siano i suoi potenziali alleati a risolvere il problema, pronto — come facevano i Ds nel centrosinistra — a discutere della premiership ma non della leadership. Anche perché in cuor suo continua ad accarezzare il sogno di diventare sindaco di Milano, sfida che fra un anno — insieme a Napoli — impegnerà i partiti. 
 Ma mentre la Lega domina la scena, attraendo Fitto e persino Tosi, l’area dei moderati si dilania. Berlusconi vede le sue truppe sfaldarsi alla Camera e al Senato, e davanti alle lamentele torna ad assicurare «il cambio dei capigruppo»: un modo per prendere tempo fino al prossima vertice, quando rinnoverà la fiducia a «Paolo e Renato, compagni di mille battaglie». Il punto è capire come si muoverà in Parlamento sulle riforme, perché Romani vorrebbe riaprire il confronto con Renzi, mentre Brunetta è l’ideologo dell’intransigenza. 
 La vittoria di Toti consente intanto a Berlusconi di tenere (quasi) tutto in equilibrio, e di lavorare al piano per smontare Ncd. La missione «Repubblicani» — in nome dell’«unità» — ha l’obiettivo di assorbire i voti e un pezzo della classe dirigente di Area popolare: è la testa di «Angelino» che vuole nel suo piatto. Le Regionali sono state una prova durissima per Ncd, sebbene Alfano dica che «anche stavolta non sono riusciti ad abbatterci». Tuttavia il posizionamento del suo partito lo espone a spinte contrapposte, e Quagliariello — chiedendo il cambio dell’Italicum — ha aperto una crepa profonda. 
 Il vecchio centrodestra non c’è più, perché si è esaurita la spinta propulsiva del fronte moderato. Il rischio per il nuovo — come spiega Cicchitto — è che si attacchino alla Lega «alcune deboli protesi di centro, compresa una Forza Italia dimezzata». Cosa non si fa per arrivare all’«unità».

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