mercoledì 6 agosto 2014

UCRAINA - UNA GUERRA TRA OLIGARCHIE, UN SOGNO DI DEMOCRAZIA INFRANTA


di Franco Vecchi e famiglie ucraine in sofferenza

UN POPOLO LONTANO DAL SUO STATO, LA PANCIA PIENA DELLA POLITICA INTERNAZIONALE
 
Storia, appunti, attualità, proposte

BREVI CENNI STORICI:
L'area che oggi costituisce l'Ucraina era in gran parte sotto il dominio polacco fino alla metà del XVII secolo (parte centro-occidentale del paese, fino al Dnepr, Kiev compresa), mentre la parte me­ridionale (compresa la Crimea) era sotto il dominio turco-tataro (Kanato di Crimea), fino al 1774. Dopo il congresso di Vienna (1815) la parte centro-orientale e meridionale del paese finì definitivamente sotto il dominio russo (come Kiev dopo il 1654), mentre la parte occidentale finì definitivamente sotto il dominio asburgico. La “nazione” ucraina non era riconosciuta né dai russi (che chiamavano gli ucraini “piccoli russi”, una specie di “russi di serie B”), né dai polacchi, né dagli austriaci (almeno fino alla fine del XIX secolo). Il processo di “russificazione” (parte centro-orientale) e di “polonizzazione” (parte occidentale) continuò fino al 1917, nonostante un certo movimento culturale di “risveglio nazionale ucraino” (soprattutto nell'ovest austriaco) si verificasse nella seconda metà del XIX secolo). Durante la rivoluzione russa, gli ucraini (come i polacchi, i finlandesi, i baltici, ecc.) si proclamarono indipendenti, senza opposizione da parte dei Soviet. Negli anni della guerra civile (1918-1920) vari governi si succedettero e si combatterono sul suolo dell'Ucraina centro-orientale, mentre a ovest si ristabiliva il dominio della rinata Polonia, e il sudovest veniva annesso dalla Romania. La Crimea, che non era mai stata etnicamente ucraina, diventava una Repubblica autonoma russo-tatara nell'ambito della Russia sovietica (1920). Nello stesso periodo, sconfitti i nazionalisti ucraini delle varie tendenze, si affermava la Repubblica sovietica ucraina, con capitale Kiev, che aderiva alla neonata URSS nel 1922. Negli anni '20 il go­verno di Kiev cercò di “ucrainizzare” l'amministrazione, ma dovette scontrarsi con molti ostacoli, tra i quali il nazionalismo russo, molto forte (Lenin scrisse molte pagine difendendo l'autodetermi­nazione degli ucraini, senza molto successo). D'altra parte il PC ucraino era radicato soprattutto tra gli operai e la popolazione delle città (in gran parte russofoni o russificati). Con l'instaurarsi della dittatura di Stalin, verso la fine degli anni '20, iniziò un nuovo processo di “russificazione” (non uf­ficiale, vista l'ideologia “ufficialmente” internazionalista: infatti l'ucraino rimase lingua ufficiale ac­canto al russo). I movimenti nazionalisti ucraini erano comunque ben più forti nell'ovest “polacco”. Nel 1939, in seguito al patto Hitler-Stalin, la Polonia venne occupata e divisa: la Polonia orientale (in gran parte etnicamente ucraina e bielorussa) venne occupata (o “liberata”, dipende dai punti di vista, dall'URSS) che la mantenne fino all'invasione hitleriana, nel 1941. In quella data le truppe na­zifasciste (tedesche, italiane, rumene, ungheresi, ecc.) invasero l'URSS. Con loro c'erano anche truppe volontarie SS ucraine, guidate dal nazionalista Stepan Bandera (che oggi è un po' l'idolo dell'estrema destra ucraina), che si distinsero per le “pulizie etniche” ai danni di russi ed ebrei. Ban­dera comunque cercò di fare una propria politica, autonoma da Hitler, il che lo portò a scontri coi tedeschi e infine al suo arresto. Quando, nel 1945, la guerra finì, le frontiere dell'URSS tornarono ad essere quelle del settembre '39, dopo la spartizione della Polonia. E l'opera di russificazione, sempre non ufficiale (basti pensare che l'Ucraina ebbe un seggio suo all'ONU, come la Bielorussia, per cui l'URSS disponeva di tre seggi) riprese. Guerriglieri “banderisti” (banderovcy in russo) continuarono a combattere contro l'Armata Rossa fino al 1954, guidati da lontano dall'esiliato Bandera. Dopo il 1956, con la parziale destalinizzazione voluta da Kruscev (che tra l'altro era ucraino, e al quale si deve il “regalo” della Crimea nel 1954 all'Ucraina, per festeggiare il 300° anniversario della liberazione di Kiev dai polacchi da parte delle truppe dello Zar) il processo di russificazione si attenuò, ma non cessò del tutto. Nel 1991, approfittando del disfacimento dell'URSS, l'Ucraina si proclamò indipendente.

L'ATTUALITÀ:
Dopo l'indipendenza si succedettero vari presidenti (la nuova Ucraina del '91 era una repubblica presidenziale) con politiche sociali molto simili (privatizzazioni selvagge, smantellamento di buona parte del “welfare state” sovietico, deindustrializzazione più o meno accentuata) in gran parte simili a quelle delle altre repubbliche ex-sovietiche. L'unica differenza tra i vari gruppi dirigenti (ed i partiti di riferimento) è sempre stata l'accentuazione di tipo nazionalistico. Ora si metteva l'accento sul nazionalismo ucraino (di solito “anti-russo”), dando tutta la colpa dei problemi della popolazione (povertà, disoccupazione, ecc.) al “predominio dei russi”. Questo è il caso, per esempio, di Yushenko e della “capa” del suo governo, la famigerata Julia Rimoshenko, ed ora del nuovo presidente, l'oligarca Poroshenko. Oppure si sceglieva un approccio filo-russo (come nel caso di Yanukovich), pur senza definirsi tali apertamente. Se si guarda la cartina elettorale delle penultime elezioni, quelle in cui fu eletto Yanukovich (e le ultime svoltesi in un clima di relativa tranquillità) si può notare la perfetta sovrapposizione politico-etnica: dove vince il suo “Partito delle Regioni” la maggior parte della popolazione è russa o comunque russofona (est e sud del paese, le zone più avanzate e industrializzate); dove invece vince la Timoshenko si parla ucraino (centro-ovest, le zone agricole, a parte Kiev). Comunque, oligarchia ucrainofona e oligarchia russofona hanno condotto il paese nell'attuale impasse sociale, economica e politico-culturale.
Quando, pochi mesi fa, il presidente “filo-russo” Yanukovich decise, su pressioni della Russia di Putin, di non firmare il trattato con l'UE, ciò fu visto da decine di migliaia di ucraini come la classica “goccia che fa traboccare il vaso”. Per molti ucraini, l'UE è una specie di mito: un mito di benessere e democrazia, contrapposto alla “Moscovia” (a volte chiamano così i russi, “i moscoviti”) di Putin (ma anche di Stalin o degli zar) arretrata, autoritaria e, soprattutto, portatrice di impoverimento. Al di là delle illusioni o meno, di fronte a questo voltafaccia di Yanukovich, già percepito come “servo di Mosca”, migliaia di cittadini scendevano in piazza a Kiev (Euro-Maidan) e in altre città dell'Ucraina centro-occidentale. Le ragioni della protesta erano soprattutto socio-economiche (numerose sono le testimonianze che parlano di molti russofoni tra i manifestanti), ma ben presto l'ideologia nazionalista ha preso il sopravvento. Da un lato la repressione del governo, dall'altro la crescente infiltrazione di gruppi armati dell'estrema destra ultranazionalista (come Svoboda) o addirittura neonazista (come Pravy Sektor, Settore di Destra) a base sottoproletaria e piccolo-borghese (molti appartenenti ai circoli ultras dei tifosi locali) ha fatto precipitare lo scontro, fino a determinare la fuga di Yanukovich. Il nuovo governo, che mi sembrerebbe esagerato definire fascista (tutt'al più liberal-fascista, anche se ci sono tre ministri di Svoboda, mentre il grosso sono d'ideologia, direi, “thatcheriana”) ha subito “cavalcato la tigre” del nazionalismo anti-russo, abolendo l'uso della lingua russa come co-ufficiale in Crimea e nelle altre zone (da Odessa a Kharkov, da Donetsk a Lugansk) dove è, se non maggioritario, almeno equivalente all'ucraino. Questa logica da “capro espiatorio” ha radicalizzato in massa gli “ucrainofoni”, ma, per reazione, anche i “russofoni” del sud e dell'est. Tra l'altro vari gruppi neo-zaristi (spesso di matrice fascista e nazista) si sono buttati a capofitto in questa situazione (soprattutto a Donetsk, Lugansk e Slaviansk) spesso con l'appoggio più o meno velato dei servizi segreti di Putin, preoccupato di un'ulteriore avanzata verso est dell'UE, della NATO (e quindi degli USA). L'indipendenza della Crimea (e la successiva decisione di aderire alla Federazione Russa) avveniva praticamente senza spargimento di sangue (anche per l'estrema debolezza degli elementi ucraini nella penisola, dove gli unici anti-russi sono i Tatari), mentre nelle zone industriali dell'est le tensioni sfociavano in una vera e propria guerra civile su basi “etniche”. Gli unici, fragili, elementi di ottimismo sono i primi sintomi di un risveglio di settori operai (come tra i minatori di Krivoj Rog e del Donbass) che stanno cercando di organizzare delle milizie di autodifesa “antifasciste”, rifiutando ogni caratterizzazione di tipo “etnico”. Ma è ancora troppo presto per capire la portata di queste “novità”: e, come insegna l'analoga esperienza di Tuzla in Bosnia (nel 1992-96), quando parlano le armi pesanti, è difficile far sentire la debole voce dell'internazionalismo e della fraternità sostanzialmente disarmata.

COSA FARE IN POLITICA ESTERA PER TENTARE DI CAMBIARE VERSO AGLI EVENTI?

L'embargo non va fatto solo alla Russia ma va fatto e praticato agli OLIGARCHI UCRAINI, e ALLE MULTINAZIONALI STRANIERE che da anni saccheggiano e stremano una popolazione sempre più rassegnata ad una triste e perenne tirannia di una mafia interna ed estera fatta di corruzione, ladrocinio dei beni comuni e delle risorse naturali e pubbliche;

L' OLIGARCHIA UCRAINA fa affari e affama il suo popolo sia in complicità con gli oligarchi russi, sia con le multinazionali americane ed europee, che di etico e di rispetto delle difficoltà di questo paese a costruire una democrazia, non ha nulla;

Gli ultimi quattro tentativi di governo non hanno lavorato per la costruzione di una protezione sociale, con chiare priorità verso le famiglie e verso la ricostruzione di un sistema pubblico che goda del rispetto e del contributo della propria popolazione; La politica di svendita del sistema produttivo, di svendita delle risorse naturali finalizzate agli interessi di pochi ha prevalso;

Ricreare un "senso dello stato" sostenendo i disillusi e cercando di fare azioni di politica estera coerenti, vuol dire non legittimare le azioni militari da qualunque parti vengano.
Sostenere le azioni di controllo del "banditismo alcolizzato" sia esso fatto da ucraini filo-russi che da ucraini finto-nazionalisti.
Aiutare anziani, persone, famiglie in difficoltà, bambini, pacifisti ucraini, dando loro strumenti concreti (alimentari, medicine, ecc.) aiutando chi vuol provare a costruirsi un lavoro onesto (aggregazioni cooperativistiche sostenute dai nostri paesi) per permettere a questa popolazione di non cadere ricattati da chi promette un minimo stato sociale come il sogno "russo" e/o il liberismo d'impresa che fa' sperare in un prato verde di semplice realizzazione, nel sogno di un benessere europeo e americano contrabbandato dalle TV internazionali.

La politica estera cerchi l'originalità dell'agire:

- attraverso l'esportazione di modelli imprenditoriali sani;
- sostegno alla crescita e del senso dello stato, del valore della cosa pubblica;
- salvaguardia e tutela dei beni naturali e delle ricchezze offerte dal territorio ucraino, proteggendo una encomia interna dai predatori nazionali ed internazionali;
- sostenere economicamente solo con la certezza che tutte le risorse siano destinate a sviluppo di questi valori, con uno stretto controllo alla gestione coerente;
- progetti di formazione e affiancamento alla costruzione di una coesione sociale, attuati attraverso ONG, progetti finalizzati di cooperazione internazionali, ecc.
- favorire l'informazione indipendente e la verità dell'informazione;
- favorire un incontro tra pensieri inter-religiosi, dottrina sociale cristiana, chiesa ortodossa (fondamenti della concezione sociale Documento del Concilio Giubilare dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Russa) quale contributo ad una costruzione sociale non finalizzata a proselitismi di alcun genere;
E tanto altro......

"Ci sono popoli che non riescono a "GRIDARE" le loro sofferenze, ci sono popoli che non hanno più "SPERANZA",  ci sono popoli che cercano la loro democrazia, ma hanno davanti a se strade obbligate che li portano nel senso opposto".

Il pensiero di Emile Durkheim

" Durkheim è convinto che la realtà sociale possa essere adeguatamente interpretata soltanto se si è capaci di uscire dal recinto della speculazione teorica per immergersi nell'indagine empirica."

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