giovedì 28 agosto 2014

Com’è giusto, nasce in Emilia il Pd 2.0

Stefano Menichini 
Europa  

Bonaccini contro Richetti, due amici e due renziani nelle primarie per la candidatura alla Regione. Dove è sempre piaciuto il rinnovamento nella continuità, ma è arrivato il tempo che il primo prevalga sulla seconda. Chiunque vinca.
Ne hanno parlato per mesi e su un punto sembravano essere d’accordo: la selezione del candidato del Pd al governo dell’Emilia Romagna non avrebbe potuto e dovuto risolversi con uno scontro fratricida. Non per buonismo, ma perché sarebbe stato difficile far capire agli elettori le differenze politiche tra Stefano Bonaccini e Matteo Richetti, amici personali, entrambi del Modenese, personaggi chiave del momento topico dell’avvento di Renzi alla guida del Pd.
Invece finirà proprio così, perché la politica è sanamente fatta anche del confronto fra ambizioni personali di uomini e donne che hanno diritto a coltivare e perseguire i propri sogni. E sia Bonaccini che Richetti sono cresciuti nel consiglio regionale che ora vorrebbero guidare. Entrambi hanno contribuito prima ai successi della lunga epoca Errani e poi al rovesciamento di quel paradigma, almeno a livello nazionale. Negli anni ruggenti delle Leopolde, Richetti era “l’emiliano” per definizione, tra i pochissimi, della squadra di Renzi. Il quale però vinse in anticipo le primarie del dicembre 2013 nell’estate precedente, quando Bonaccini (dopo essersi staccato da Bersani durante le votazioni drammatiche sul Quirinale) lo introduceva nelle Feste nella sua veste di segretario regionale, da Carpi a Bosco Albergati a Borgo Sisa vicino Forlì, in autentici, sbalorditivi e già risolutivi bagni di popolo.
I tentativi di mediazione su una candidatura “unitaria” non sono riusciti. Il motivo è nel Pd medesimo: un partito che è andato ormai troppo oltre, sulla contendibilità interna, perché si possano escogitare facili soluzioni condivise, a meno che tutti (ma proprio tutti) gli attori sulla scena non vi si ritrovino.
In questo caso, anche con la candidatura “unitaria” di Daniele Manca ci sarebbero stati comunque altri nomi in corsa, e poi non sarebbe giusto dimenticare l’oggetto vero della contesa. Che non è una posizione più o meno avanzata nella galassia renziana (come invece la vicenda verrà in parte raccontata), bensì il governo dell’Emilia Romagna: cioè una Regione chiave non (solo) per il Pd ma per il presente e il futuro dell’Italia. Un luogo e un partito geneticamente propensi al famoso “rinnovamento nella continuità”, dove evidentemente è arrivato il momento di far prevalere il primo sulla seconda, come dimostrano anche i risultati elettorali di Cinquestelle.
In questo senso non è male che il confronto sia tra due renziani.
Sì, è vero, Richetti giocherà la carta dell’antemarcia, oltre tutto non essendo un ex comunista (è cresciuto alla scuola di Pierluigi Castagnetti). Mentre Bonaccini si farà forte del lavoro svolto da segretario del partito, del successo della fusione tra il Pd “di prima” e il Pd “di oggi”. Il primo parlerà più da rottamatore, sul secondo confluiranno forse i famosi apparati ex bersaniani. Ma entrambi sono stati protagonisti di una rottura a livello nazionale che a livello regionale non s’è mai effettivamente completata (secondo Richetti, neanche iniziata), e di cui si sente gran bisogno: dunque sono obbligati a competere su chi sia più credibile nell’innovazione, non nella conservazione.
Il gusto giornalistico si appunterà sulla prima grande vera divisione nel mondo di Renzi. Probabilmente sarà proprio il segretario-premier a spegnere questa malizia, per quanto avesse sperato in un’altra soluzione. Perché in realtà da oggi in poi ogni competizione interna al Pd sarà “tra renziani”, anche se con storie diverse alle spalle, e sarà giusto risolverla con primarie aperte agli elettori.
Se per esempio Bonaccini dovesse prevalere, e farlo dopo una campagna all’insegna della novità, sarebbe impossibile parlare di una vendetta della vecchia nomenklatura: quella stagione è ormai passata, il problema casomai è proprio chiuderla definitivamente anche a livello territoriale, e farlo in una regione molto riformista ma mica tanto rivoluzionaria.
Richetti sente intorno a sé entusiasmo, non si dà per battuto anche se riconosce di partire in svantaggio. In ogni caso per lui queste primarie saranno un importante momento di crescita, confermandolo oltre tutto come un renziano molto autonomo da Renzi (come è sempre stato, a prescindere dalle voci su incarichi nazionali promessi o negati).
Bonaccini sa di dover evitare l’effetto macchina del tempo, come se si girasse un remake alle primarie Renzi-Bersani. Dovrà guardarsi da candidati terzi come Palma Costi. Come per il suo amico-rivale, ricevere la staffetta da Vasco Errani è sempre stato un progetto di vita, solo che per farcela dovrà mettere nelle primarie tutto il suo “renzismo”, con l’obiettivo di divenire una delle colonne nazionali del sistema di governo del Pd.
Per vedere chi vincerà torneremo lì dove il rottamatore cominciò a tramutarsi in segretario. Nella culla del Pci dove il Pci definitivamente morì. Nella regione che sempre ha deciso le sorti della sinistra italiana. Sarà in Emilia Romagna che assisteremo alla prima conta interna del Pd 2.0.

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