giovedì 7 agosto 2014

Indipendenza della magistratura e tutela dei diritti dei singoli


Adriana Apostoli

L’assetto costituzionale del potere giudiziario e, in particolare, la presunta inadeguatezza del «sistema giustizia» italiano rispetto alle esigenze dell’organizzazione sociale, sono da anni al centro del dibattito pubblico e alla base della convinzione delle forze politiche della necessità di vaste riforme dell’organizzazione giudiziaria e dei processi.
Tra gli elementi di «criticità» del nostro modello di ordinamento giudiziario, sono stati evidenziati in particolare due profili: da un lato, la mancata attuazione della VII disposizione transitoria e finale della Costituzione, in base alla quale, nel periodo successivo all’entrata in vigore della Carta del 1948, avrebbe dovuto essere emanata una nuova legge sull’ordinamento giudiziario conforme alla Costituzione stessa; dall’altro lato, l’annoso problema del contrasto tra politica e magistratura, che è divenuto sempre più evidente negli ultimi anni ed è stato, fino a tempi recentissimi, piuttosto aspro.
Quanto al primo aspetto, l’approvazione di una nuova disciplina organica avrebbe dovuto, tra l’altro, rimediare ai noti problemi dell’organizzazione giudiziaria, quali quelli legati all’esistenza di norme processuali incongrue, all’aumento progressivo della domanda di giustizia, alla irrazionale geografia giudiziaria, all’insufficienza dei mezzi e delle risorse, che rappresentano le principali ragioni della inefficienza e della eccesiva durata dei processi. Invece, gli interventi legislativi che hanno via via modificato o integrato le norme sull’ordinamento giudiziario del 1941 non hanno fornito una soluzione a tali problematiche, sia perché sono intervenuti in modo disorganico e frammentario, sia perché non hanno mai realmente affrontato quelle questioni.
Per quanto concerne il secondo profilo, la mancata riforma della giustizia, il contenuto delle numerose iniziative legislative che si sono invece indirizzate verso un tentativo di ridefinizione dell’assetto costituzionale della magistratura e, da ultimo, le supposte «invasioni di potere» da parte dei magistrati (soprattutto nei confronti del potere politico), hanno alimentato il ricordato contrasto. Sebbene il conflitto tra giustizia e politica sia un problema riscontrabile anche in altri Paesi, non certo solo in Italia, nel nostro ordinamento esso è stato caratterizzato da tensioni particolarmente gravi, tanto da poter essere ragionevolmente considerato come una delle principali ragioni alla base dei molteplici tentativi di riforma dell’ordine giudiziario che si sono susseguiti nel tempo.
È di questi giorni la presentazione di un ulteriore disegno di riforma della giustizia. Al di là del contenuto delle singole previsioni del progetto, quello che mi pare opportuno debba sempre essere rimarcato quando si discute di riforma della giustizia è che il legislatore non è libero di disciplinare a suo piacimento tale materia, poiché in ciò incontra precisi limiti di carattere costituzionale. La Costituzione, infatti, impone la necessità di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, quale presidio indispensabile per la protezione dei diritti dei singoli.
È anche vero, d’altro canto, che per scongiurare l’equazione «indipendenza-immunità» è altresì necessario che i valori dell’autonomia e dell’indipendenza vengano coniugati con una ragionevole apertura verso la collettività e con il principio di responsabilità.
Tuttavia, proprio perché la figura di un giudice autonomo, indipendente ed imparziale costituisce la garanzia fondamentale dei diritti individuali, il bilanciamento tra i suddetti valori non potrà mai avere come esito una eccessiva compressione del valore della indipendenza dei magistrati.

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