martedì 19 agosto 2014

Il Massacro, le Vittime 
e la svolta di Francesco.


Corriere della Sera 19/08/14

La parola «guerra», quella è sempre bandita. Ma la Chiesa cattolica non ha mai disdegnato gli eufemismi per gli interventi militari che si prefiggevano di fermare «la mano dell’aggressore» contro le popolazioni civili. L’«ingerenza umanitaria» per l’intervento armato nel Kosovo. La «polizia internazionale», limitata e circoscritta, per l’azione in Afghanistan, all’indomani degli attentati dell’11 settembre. Oggi però le parole di papa Francesco segnano una correzione significativa nella politica vaticana in Medio Oriente. Il massacro dei cristiani in Iraq sta assumendo dimensioni apocalittiche. La linea della prudenza appare destinata alla disillusione. La Chiesa di Francesco non è diventata bellicista. Ma difficilmente chi si è sempre nascosto sotto il manto papale per dare autorevolezza a una linea di «pacifismo» assoluto troverà accoglienza a piazza San Pietro. Come accadde nel 1991 e nel 2003, quando la sinistra italiana finì per sfilare sotto le finestre di Giovanni Paolo II, riconoscendo la sua leadership morale nel fronte contrario sia alla guerra promossa da Bush padre che a quella di Bush figlio e di Blair. Non tanti anni, ma pochissimi mesi fa, le parole di Francesco sono apparse come un alt categorico alla tentazione obamiana di intervenire in Siria contro la carneficina compiuta da Assad, in un conflitto che conta oggi circa 170 mila vittime, quasi tutte civili. Invece di «fermare l’aggressore», la priorità sembrò allora quella di fermare l’interventismo ondivago degli Stati Uniti. Un digiuno di testimonianza a favore della pace suonò più polemico nei confronti di Obama che non di Assad. Un pacifismo un po’ strabico, che però poteva essere giustificato dalla necessità di difendere i cristiani di Siria dai crimini che i ribelli jihadisti avevano cominciato a perpetrare contro il popolo della croce. La stessa prudenza per le sorti dei cristiani che ha indotto il Vaticano nel corso di questi anni a non chiedere la mobilitazione del mondo contro i regimi islamici (non solo fondamentalisti, ma anche «moderati» come l’Arabia Saudita) che non risparmiano persecuzioni contro i «blasfemi» che osano possedere un crocefisso o un rosario e contro i luoghi di culto cristiano, ostracizzati e martirizzati. Le dimensioni catastrofiche del massacro dei cristiani da parte dei seguaci del Califfato islamico inducono papa Francesco a correggere il tiro. Non si parla certamente di «guerra giusta» lungo una tradizione cattolica ed ecclesiastica che ha segnato secoli di riflessione sull’uso degli strumenti bellici da parte degli Stati. La deplorazione di papa Benedetto XV contro l’«inutile strage» rappresentata dalla Prima guerra mondiale, oramai un secolo fa, esprimeva una nettezza che non dava spazio a interpretazioni equivoche o minimizzanti. E persino nella Seconda guerra mondiale, di fronte a uno sterminio di proporzioni inusitate, la linea della prudenza consigliava al Vaticano (ma non ai singoli vescovi e agli istituti religiosi) un atteggiamento che non suonasse come elemento ulteriore di conflitto e di divisione. Nel Medio Oriente, poi, la politica vaticana del buon vicinato con il mondo arabo, ha sempre suggerito una linea, se non di aperta ostilità, comunque di diffidenza nei confronti dello Stato di Israele. Nella Guerra del Golfo, all’indomani della fine della guerra fredda e nella ricerca affannosa di un nuovo «ordine internazionale» garantito dalle Nazioni Unite, il papato di Wojtyla rappresentò la calamita capace di attrarre tutto il variegato mondo contrario all’intervento in Iraq, malgrado la palese violazione della legalità internazionale da parte di Saddam Hussein con l’invasione del Kuwait. Nel 2003 le bandiere arcobaleno della pace sventolarono con l’appoggio della Chiesa cattolica che pure non si era spesa contro l’intervento per estromettere il regime dei talebani in Afghanistan: e anche lì le ragioni geopolitiche si mescolarono a quelle umanitarie, con la persecuzione da parte del regime di Saddam dei curdi uccisi con il gas e degli sciiti di Bassora. Poi la guerra del Kosovo, che pure cercò di mimetizzarsi come atto di indispensabile «ingerenza umanitaria». Ora la necessità ribadita da Francesco di fermare la mano assassina dell’aggressore e impedire ulteriori massacri. Una svolta che può influenzare la politica degli Stati. Non una «terza guerra mondiale», ma certamente un ribollire incontrollato dei conflitti.

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