Da oggi si parlerà soprattutto di misure economiche, tagli di spesa
e di tasse. Renzi tiene il centro del campo e sulle riforme
istituzionali può permettersi di far sfogare Forza Italia.
Padrone dell’agenda politica, da questa sera Matteo Renzi
porterà tutti a discutere dei suoi attesi provvedimenti economici, o
meglio della trasformazione dei suoi impegni più importanti in un vero e
proprio Documento economico e finanziario, destinato allo scrutinio del
parlamento, delle istituzioni europee e alla fine, soprattutto, degli
elettori del 25 maggio. Finirà l’incertezza su quanti soldi il governo
possa mettere sulla riduzione dell’Irpef e dell’Irap e su dove li vada a
prendere, dunque avremo qualche certezza in più sulla dimensione e
sulla fattibilità di misure alle quali il premier ha legato la propria
credibilità.
In qualche modo, Renzi sta rispettando il cronoprogramma enunciato a
consultazioni per il governo ancora in corso. Certo, non si tratta di
attuazioni né sul fisco né sul lavoro né sulle riforme istituzionali. Ma
qui risiede il potere dell’agenda setting: quando non esistono
ancora neanche i decreti, Renzi ha comunque monopolizzato il dibattito
pubblico su tutti i nodi del caso-Italia, con sostenitori e detrattori
concordi nell’attribuire a lui l’unica chance e responsabilità di scioglierli.
Il confronto che apparentemente si è acceso con Forza Italia intorno a riforma del senato e Italicum è perfino imbarazzante.
Intimazioni come quelle di Brunetta ottengono l’unico effetto di
ingigantire le difficoltà di Forza Italia, la debolezza della sua
posizione, le indecisioni del fondatore in questa drammatica vigilia di
un’ennesima sentenza.
Viceversa, Renzi e il Pd possono far sfoggio di sicurezza proprio sui
temi sui quali hanno ballato per diverse settimane. Avendo posto fin
dall’inizio la questione delle riforme su un piano di puro pragmatismo,
ed essendo interessato più a far passare il generale messaggio di
cambiamento che non a battagliare sui singoli punti del monocameralismo e
del maggioritario, il premier non minaccia né esagera quando avverte
Berlusconi di poter procedere anche senza di lui. Perché è abbastanza
vero: sulle novità fondamentali il sistema politico nel suo insieme ha
assunto ormai impegni verso l’opinione pubblica che nessuno vorrà
tradire con leggerezza, sapendo che Renzi con la sua capacità e forza
mediatica farebbe pagare un prezzo molto alto.
Lo sa Berlusconi per primo: queste riforme, magari discutibili, sono
ormai attese e popolari. Se lui di nuovo rovescia il tavolo, stavolta se
lo rovescia addosso e rischia di farsi male.
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