La Stampa 03/04/2014
maurizio molinari
inviato ad ABU DIS
Nell’Università di Al Quds si parla
inglese, si studiano i diritti umani e si dibatte del futuro Stato di
Palestina.
Ore 11, lezione di diritti umani. Nel
campus di Al Quds, l’Università araba di Gerusalemme, si parla in
inglese, si studia il diritto internazionale e si dibatte del futuro
Stato di Palestina. Nel Bard College gli alunni di Nicola Perugini,
docente di Legge Internazionale e Diritti Umani, si ritrovano in
un’aula al secondo piano. Ognuno di loro ha un approccio diverso
agli studi, ai propri sogni ed alla realtà che li circonda.
Ruba Imam, 21 anni, viene da
Gerusalemme è rimasta colpita da alcuni viaggi di studio fatti a
Hebron, in Cisgiordania, perché si è scontrata con una “realtà
che non conoscevo” in termini di “carenza di rispetto dei diritti
umani degli abitanti palestinesi a causa dell’occupazione
israeliana”. Vicino a lei Leith Abu Ziad, 22 anni, di Nasria,
annuisce. La sua tesi di laurea sui diritti omosessuali nel mondo
arabo descrive la maturazione nelle nuove generazioni di temi una
volta tabù. Il focus a cui più tiene è quello dei “diritti”
perché, dice, “sono la chiave di tutto”. Anche se si pone delle
domande non facili: “Noi ci battiamo molto per ottenere un maggiore
rispetto dei diritti umani da parte delle forze di occupazione
israeliane ma mi chiedo se questo, alla fine non si trasformi in un
boomerang, portando di fatto solo a migliorare il volto
dell’occupazione stessa, che invece deve soprattutto finire”.
Qusay Hammash, 21 anni, viene da
Betlemme e ha un sogno “voglio fare il regista”. E’ convinto
che realizzare film “qui in Palestina o in qualsiasi altro posto”
possa aiutare “la società palestinese a crescere, maturare, essere
più consapevole”. La determinazione con cui Qusay parla del “mio
sogno” si ritrova nelle parole di Sonoos Saghadeh, 21 anni, di
Gerusalemme che indossa l’hijab - come Ruba - e affronta con pari
energia un tema assai diverso e più scottante. “Quando mi ritrovo
in casa, con mia nonna e mia madre parliamo dell’occupazione -
racconta - e ognuna porta la sua esperienza, mia nonna ricorda di
quando arrivarono i sionisti con le prime violenze, mia madre
rammenta la guerra del 1967 e l’inizio dell’occupazione come oggi
la conosciamo ed ora tocca a me descrivere ciò che sta avvenendo”
ed a tale riguardo non è affatto ottimista “perché nei nostri
quartieri, nelle nostre città, si moltiplicano gli edifici dei
coloni ebrei, spuntano in ogni luogo e ciò preannuncia tensioni
molto forti”. Da qui lo scenario di “un peggioramento” della
tensione fra palestinesi ed israeliani anche se Sonoos, come i suoi
compagni di classe, ribadisce che “non c’è alternativa alla
soluzione dei due Stati”. Le parole di Sonoos sul “rischio di un
peggioramento” pesano nella classe e Qusay, tiene a precisare di
“essere contro la violenza, contro la lotta armata”. Non ha
intenzione di combattere. Sara Sharif, 21 anni, conferma che nel
campus l’atmosfera non è quella di una nuova rivolta violenta,
bensì di una battaglia “per i diritti umani contro gli strumenti
della legalità internazionale” al fine di “far venir meno il
muro e far nascere un vero Stato di Palestina che mi dia il
passaporto, sia capace di proteggermi e di darmi un futuro”.
Le critiche nei confronti degli
israeliani sono dure, aspre. Sonoos sottolinea come ha un fratello
più piccolo che, studiando in una scuola pubblica a Gerusalemme, “ha
dovuto memorizzare l’importanza della Dichiarazione Balfour che noi
consideriamo invece l’origine di tutti i problemi che abbiamo”
dice, riferendosi al documento con cui l’Impero britannico nel 1917
riconobbe il diritto degli ebrei a creare in Palestina un “focolare
nazionale” legittimando il sionismo. Leith spera che “la campagna
del boicottaggio” contro i prodotti israeliani che vengono dagli
insediamenti in Cisgiordania “si estenda e riesca ad avere un vero
impatto economico” mentre Sara quando parla di “occupazione” la
paragona alla “segregazione” per via di “muri, barriere e posti
di blocco che segnano la nostra vita quotidiana”. Si parla anche
dell’imminente visita di Papa Francesco e un po’ tutti si
augurano che “con la preghiera aiuti davvero la pace”. “Questi
ragazzi vivono immersi in una delle situazioni più difficili -
spiega Perugini - e trovano nello studio dei diritti umani una strada
da seguire nella speranza di costruire un mondo migliore”.
Il campus intanto è immerso
nell’atmosfera dei party, fra politica e musiche, che vendono
protagonisti i diversi gruppi di militanti: Hamas sfila con le
bandiere verdi e il Fronte popolare con i drappi rossi. Entrambi
catturano attenzione ed emozioni degli studenti anche se il leader
più popolare resta Marwan Barghuti, detenuto in Israele per il ruolo
che ebbe alla guida dei Tanzim di Al Fatah durante la Seconda
Intifada. Prima di lasciare il campus c’è ancora tempo per seguire
un’altra lezione. Entriamo nell’aula di Nadim Khoury, docente di
Letteratura, impegnato per l’occasione in una lezione su Kafka. La
maggioranza dei suoi studenti sono ragazze, lui spiega con cura
personaggi e situazioni tratti dai volumi dello scrittore ebreo
praghese. La lezione si svolge in inglese mentre fuori suonano i
motivi del Fronte Popolare. Alcune delle studentesse per un attimo di
distraggono, poi tornano con gli occhi sulla lavagna luminosa. Khoury
le riprende con un sorriso: “Adesso è il momento di Kafka, a
lezione finita avrete tempo per pensare alla rivoluzione”.
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