Corriere della Sera del 05/04/14
Più o meno da che esiste, la sinistra
italiana ha visto il prevalere delle sue correnti più estreme, che
si chiamassero intransigenti, massimaliste o in altro modo ancora.
Ciò è avvenuto per la forza di queste ultime, certo, ma anche per
l’incapacità o il timore dei «riformisti» a scontrarsi davvero
con i «rivoluzionari». Nell’Italia repubblicana questa incapacità
doveva manifestarsi anche all’interno del maggior partito della
sinistra, il Pci, che se da un lato ereditava l’insediamento
sociale (cooperative, sindacati, camere del lavoro) e molte delle
Politiche del vecchio riformismo socialista, dall’altro non riuscì
mai a considerare la parola stessa riformismo altro che come un
termine negativo.
La decisa risposta di Renzi (sul Corriere di
lunedì scorso) all’appello di Rodotà, Zagrebelsky e altri
intellettuali contro una presunta «svolta autoritaria», nonché il
duro articolo che il direttore di Europa , Stefano Menichini, ha
dedicato ai firmatari di quel testo, indicano che forse l’antico
timore dei riformisti a individuare negli intransigenti il proprio
avversario ha fatto il suo tempo. È abbastanza evidente, infatti,
che le prese di posizione degli ayatollah della Carta (così li ha
definiti il costituzionalista Francesco Clementi), come – prima
ancora – quelle di «girotondi», «popolo viola», intellettuali
«indignati», pronti a gridare al pericolo autoritario ad ogni
ipotesi di riforma della Costituzione, rappresentano da qualche anno
la nuova forma assunta da quel vecchio male della sinistra italiana
cui si faceva riferimento. Un male consistente nell’incapacità
delle correnti riformiste d’uscire dall’angolo in cui vengono
costrette dalle correnti più radicali. Ma adesso – ecco la novità
– il nuovo gruppo dirigente del Pd sembra consapevole della
necessità di separare i propri destini da quelli di «una sinistra
intellettuale e politica – ha scritto Menichini – ormai
portatrice (…) d’intolleranza, alterigia e presunzione».
Al
di là del piglio decisionista e degli atteggiamenti forse un po’
troppo da smargiasso del presidente Renzi, la sua sfida riformista si
lega alla sua provenienza culturale e politica, del tutto diversa
rispetto a chi ha alle spalle la tradizione comunista. A Renzi
risulta del tutto estraneo, infatti, quel mito dell’unità della
sinistra che caratterizzava la vecchia tradizione socialista e poi
quella comunista in virtù dell’imprinting marxista. Per il
marxismo, essendo una la classe di riferimento (il proletariato), uno
doveva essere il partito della sinistra. Tutte cose che Renzi avrà
tutt’al più studiato in qualche esame universitario di storia.
È
probabile, in ogni caso, che lo scontro con le posizioni della
sinistra intellettuale più radicale egli lo abbia espressamente
cercato. Si pensi solo al fatto d’invitare l’arcinemico
Berlusconi al Nazareno; un invito che una parte del suo stesso
partito ha vissuto alla stregua di una provocazione. Ma, appunto, qui
sta anche uno dei due grandi rischi di fronte ai quali si trova ora
la battaglia riformista del presidente del Consiglio. Il guanto di
sfida lanciato a una sinistra intellettuale intransigente, infatti, è
anche un guanto di sfida lanciato a una parte, forse maggioritaria,
del suo partito. Di un partito che, non a caso, resta fedele al
ricordo e al mito di Enrico Berlinguer, un leader di grande carisma
ma che certamente non fu per nulla riformista. Nonostante le
nostalgiche rievocazioni a cui abbiamo assistito ancora di recente
tendano a farlo dimenticare, Berlinguer spinse anzi gli iscritti e
gli elettori del suo partito verso una «deriva identitaria e
solipsistica» – come scrisse dieci anni fa Piero Fassino in un suo
libro – basata sulla rivendicazione della «diversità» comunista.
Il secondo rischio che minaccia la sfida riformista di Renzi è sotto
gli occhi di tutti. Ha a che fare con la possibilità che le riforme
da lui annunciate, a cominciare dal monocameralismo e dalla riforma
del titolo V della Costituzione, non riescano ad andare in porto. E,
com’è evidente, un riformismo senza riforme non è cosa possibile.
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