MASSIMO GIANNINI
La Repubblica 29 aprile 2014
Se questo è un uomo di Stato. Ad
ascoltare i deliri con i quali Silvio Berlusconi ha aperto la sua
campagna elettorale, non si può trarre una conclusione diversa.
Nessuno si faceva troppe illusioni: un Ventennio di autocrazia
populista e di macelleria costituzionale parla per lui. Ma dopo
l’assegnazione ai servizi sociali per la condanna al processo
Mediaset ci si aspettava almeno una modica quantità di
autocontrollo. Non un «ravvedimento », troppo generosamente
auspicato dal tribunale di sorveglianza nelle motivazioni con le
quali l’ex Cavaliere è stato «affidato» all’Istituto di Cesano
Boscone. Ma almeno un po’ di misura, nell’apprezzare
l’insostenibile leggerezza della pena finale (7 giorni di
«assistenza» spalmati sui prossimi 11 mesi), rispetto alla
comprensibile pesantezza della pena iniziale (4 anni di carcere).
Invece no. Il senso dello Stato, il rispetto delle istituzioni, il
principio di legalità: nulla di tutto questo appartiene alla cultura
politica di Berlusconi.
L’ACCUSA ai tedeschi, secondo i quali
«i lager non sono mai esistiti», è un insulto alla Storia, prima
ancora che alla Germania. La frase, falsa e sconclusionata, è molto
più che l’ennesimo «infortunio» di un gaffeur planetario. È
invece uno scandalo diplomatico, che fa un danno enorme all’immagine
dell’Italia, e non solo al capo di Forza Italia. Le reazioni
indignate, che uniscono la Merkel e i rappresentanti di Ppe e Pse,
confermano la gravità dell’incidente. E solo la malafede
manipolatoria può spingere Berlusconi a replicare che si tratta
dell’ennesima «trappola» ordita delle sinistre, e a ribadire la
sua «profonda amicizia con il popolo ebraico». Qui in gioco non c’è
un presunto «antisemitismo » berlusconiano, che nessuno ha
denunciato. C’è invece l’assoluto cinismo del leader di una
destra irrecuperabile, che per lucrare una miserabile rendita
elettorale in vista del voto del 25 maggio non esita a inventare il
solito «nemico esterno», cioè la Germania. A evocare il «non
evocabile », cioè i lager. Ad accostare l’inaccostabile, cioè il
Fiscal Compact con la Shoah. C’è dunque lo stesso nichilismo
morale dell’ex premier di un governo impresentabile, che per
difendersi dalle critiche dei socialisti europei dà del «kapò» a
Martin Schultz.
L’accusa al presidente della
Repubblica e ai magistrati, colpevole il primo di avergli negato la
grazia e i secondi di averlo infangato con una «sentenza mostruosa»,
è un’offesa alla legalità, prima ancora che alla verità. Sono
tristemente note, le spallate continue che lo «statista» di Arcore
ha tentato di assestare al sistema dal 1994 ad oggi, tra leggi ad
personam e intimidazioni ai pm, alla Consulta, al Quirinale. Ma non
erano altrettanto note le rivelazioni fatte dallo stesso ex
Cavaliere, che a «Piazza pulita» afferma impunemente di aver detto
al Capo dello Stato «tu hai il dovere morale di darmi la grazia motu
proprio». In questo «atto sedizioso» si racchiude, tutto intero,
il berlusconismo. L’idea malsana che l’unzione popolare purifica
da tutti i reati e da tutti i peccati. Che le istituzioni ne debbano
solo prendere atto, compiendo di propria iniziativa il passo che il
pregiudicato non vuole richiedere, perché questo equivarrebbe a
riconoscere la sua responsabilità penale. Che la Costituzione,
formale e materiale, si debba snaturare per questo, introiettando
l’anomalia cesarista di un cittadino che si pretende diverso da
tutti gli altri, dentro e fuori dalle aule di giustizia, e che
pertanto va considerato «legibus solutus» per il passato, il
presente e il futuro. Se la rivelazione berlusconiana è vera (e non
c’è ragione di credere che non lo sia) bisogna ringraziare una
volta di più Giorgio Napolitano, per non aver ceduto di un
millimetro e non essersi prestato a questo scempio etico, giuridico e
politico.
Quanto alla «sentenza mostruosa», in
un Paese che perde troppo facilmente la memoria non finiremo mai di
ricordare che la condanna dell’ex Cavaliere nasce dalla gravità
del reato commesso, accertato senza alcun ragionevole dubbio nei tre
gradi di giudizio: una frode fiscale da 7 milioni di euro, parte di
una provvista in nero da 370 milioni di dollari con i quali il
condannato pagava mazzette a magistrati, funzionari pubblici e
parlamentari. Cosa ci sia di «mostruoso», nell’espiare un delitto
così grave assistendo gli anziani per un pomeriggio a settimana, lo
vede chiunque. Berlusconi è l’opposto che un «perseguitato». Pur
essendo riconosciuto come «persona ancora socialmente pericolosa»,
ha beneficiato di uno «statuto speciale» che non limita la sua
«agibilità politica» né preclude la sua campagna elettorale
(cominciata infatti proprio con le armi distruttive dell’anti-
europeismo e dell’anti-Stato).
Resta da chiedersi perché Berlusconi
continui imperterrito a sparare sul Colle e sulle toghe, dal momento
che la Sorveglianza gli ha concesso i servizi sociali purché si
attenga alle «regole della civile convivenza, del decoro e del
rispetto delle istituzioni » ed eviti le frasi «offensive» e di
«spregio nei confronti dell’ordine giudiziario». La risposta può
essere una sola: l’ex Cavaliere provoca, e forse spera che la
magistratura sia costretta suo malgrado a dovergli revocare
l’affidamento alla Sacra Famiglia, e a disporre gli arresti
domiciliarsi. Sarebbe il famoso «finale da Caimano». Il pretesto
definitivo per lanciarsi da «martire della libertà» nel fuoco
della battaglia elettorale. La scelta estrema per cercare di risalire
l’abisso dei consensi in fuga, per sottrarsi all’»abbraccio
mortale» con Renzi e per recuperare posizioni su Grillo che il 26
maggio rischia di diventare almeno il più grande partito italiano
dopo il Pd, pronto per l’eventuale ballottaggio previsto
dall’Italicum. È questo, dunque, il grumo di rabbia sociale e
politica con il quale il governo e il Pd renziano devono fare i conti
nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Un gioco al massacro
tra il populismo berlusconiano e il populismo grillino. Il terreno
peggiore, per costruire e tenere in piedi il cantiere delle riforme.
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