Dietro all'opposizione alla riforma del senato si vede ormai chiaro
un disegno di ridimensionamento del premier. Questo potrebbe spingere
lui a rifiutare compromessi al ribasso, e a scatenare un'offensiva anche
all'interno del Pd.
Tutti nel mondo politico si chiedono quale possa essere il punto
di compromesso che Matteo Renzi potrebbe considerare accettabile per
far passare almeno un avanzo della sua riforma del senato. Rischia di
essere la domanda sbagliata. A meno che il premier non cambi idea
rispetto a una convinzione riproposta con forza da mesi, forse dovremmo
interrogarci sul conflitto politico – quanto distruttivo, contro quali
obiettivi – che Renzi potrebbe scatenare una volta che la strada di
palazzo Madama si confermasse per lui impraticabile.
Sapevamo fin dal giorno del patto del Nazareno
che le riforme costituzionali sarebbero state molto più difficili del
varo della legge elettorale, e che la fedeltà di Berlusconi alla parola
data sarebbe stata spesso oscillante. Era evidente nei giorni del battesimo parlamentare
del governo Renzi che l’aula del senato, da lui certo non blandita, si
sarebbe rivelata ostile e resistente. E si è capito da tanto tempo che
all’interno del Partito democratico c’è chi non considera affatto
prioritaria la salute della famosa “ditta”, non apprezza i livelli di
consenso al quale Renzi la sta conducendo, non ha alcuna intenzione di
prendere atto dell’opinione degli elettori delle primarie e – in
conclusione – più di ogni altro obiettivo persegue quello del
ridimensionamento del segretario del partito e presidente del consiglio.
Noi stessi su Europa abbiamo più volte sottolineato la necessità che su tutti i testi di riforma istituzionale, compreso l’Italicum,
fosse giusto soffermarsi, ragionare, emendare, aggiustare,
riequilibrare. È vero che le istituzioni devono funzionare secondo una
logica unitaria, con pesi e contrappesi ben calcolati, con tutte le
clausole di garanzia necessarie, e nei progetti presentati dal governo
non tutto era convincente sotto questi aspetti.
A questo punto del conflitto aperto da una minoranza del Pd
appoggiata dalle forze d’opposizione (non stupisce affatto l’asse che da
Grillo arriva a Berlusconi passando da alcuni senatori dem) c’è
l’impressione che non si tratti più di interventi nel merito delle
riforme. Sostanzialmente, i senatori (spalleggiati con comprensibile
entusiasmo e interessata dedizione dalla tecnostruttura di palazzo
Madama) vogliono azzoppare fin dal primo passaggio la riforma che doveva
abolire il bicameralismo, banalmente salvando il bicameralismo
medesimo, cioè l’essenza di ciò che Renzi propone di abrogare forte di
un vasto consenso popolare, specifici deliberati del suo partito e molti
anni di dibattito tra esperti. Berlusconi e Grillo prendono al volo
l’occasione di ferire un avversario elettorale che si sta rivelando
micidiale per entrambi.
Non ci sono i numeri in parlamento per fare altrimenti, dicono gli
stessi che si stanno dando da fare per comporre numeri favorevoli. Può
darsi. Renzi non può rischiare una bocciatura in piena campagna
elettorale europea, dunque l’iter della legge rimarrà aperto. Ma credo
che stia valutando la convenienza di alzare il tono dello scontro.
Imperniare una parte consistente del proprio appello agli elettori sulla
denuncia di resistenze, ostruzionismi, conservatorismi. Creare un clima
per cui i voti che prenderà il 25 maggio saranno poi rovesciati sugli
oppositori, innanzi tutto quelli interni. E c’è chi gli suggerisce (ieri Roberto Giachetti) di passare poi rapidamente a trasformare questo clima in aperta battaglia elettorale, in autunno.
Questo scenario scandalizza molti (di nuovo, nel Pd). Come se opporsi
a una linea assunta dal partito e dai gruppi fosse legittimo, e cercare
di piegare questa opposizione con una dura minaccia politica fosse
invece illegittimo. È un destino, per Matteo Renzi, che contro di lui
non debbano mai valere le regole di fair-play che invece da lui si pretendono.
Staremo a vedere. La soluzione migliore rimane, di gran lunga, un
compromesso ben scritto che si ponga al di qua dei paletti posti dal
governo, a cominciare dal no all’elezione dei senatori. Se la campagna
elettorale si rivelasse un momento inadatto all’approvazione di un buon
testo, l’essenziale dal punto di vista di Renzi sarebbe ricevere dal
senato un segnale politico comunque chiaro, inequivoco e irrevocabile.
In caso contrario, se la resistenza rivelasse il vero volto
dell’ostilità verso di lui, il leader del Pd e presidente del consiglio
tornerebbe ad avere mani libere. E nessuno potrebbe poi lamentarsi dei
colpi politici dati e presi.
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