Nicolini ed Emiliano: episodi fisiologici. L'attacco di Grillo alle
donne capolista: un gran favore a Renzi. Ma nella formazione delle
liste si sono riprodotti tutti i vecchi vizi
I casi di Giusy Nicolini e di Michele Emiliano possono essere
considerati fisiologici in un passaggio sempre turbolento come la
formazione delle liste elettorali. In realtà è ovvio che nessuna delle
due rinunce è indolore: Nicolini è stata ripetutamente corteggiata da
Matteo Renzi in diverse occasioni, addirittura in fase di formazione del
governo; Emiliano è un peso massimo del Pd al Sud e il suo sostegno fu,
a suo tempo, una delle chiavi che spalancarono a Renzi la porta delle
primarie per la segreteria.
Dopo di che, è anche giusto considerarli persone adulte che, se
rinunciano a candidarsi una volta retrocessi dal primo posto in lista,
rispondono della scelta che fanno. Soprattutto nel caso del sindaco di
Bari, è sicuro che avrebbe vinto nella conta delle preferenze: vuol dire
che, più che una spinta per andare a svolgere il lavoro di
europarlamentare, essere capolista aveva per lui il senso di un
riconoscimento di ruolo politico.
Qui emerge un problema persistente nel Pd, cinque mesi dopo l’ascesa di Renzi alla segreteria.
Come è noto, la “trovata” delle donne capolista è stata una mossa
abile e spiazzante del segretario-premier per dare alle liste
democratiche un appeal che nella loro prima versione non
avevano, certo non per colpa del vicesegretario Lorenzo Guerini. La
mossa è riuscita perfettamente, se Beppe Grillo ha commesso l’errore
marchiano di attaccare Mosca, Moretti, Bonafè, Picierno e Chinnici nel
modo scomposto con cui l’ha fatto. Grazie a Grillo, le “cinque donne di
Renzi” sono definitivamente il marchio della campagna elettorale: è un
vantaggio per il Pd, nel caso lo scostumato non l’avesse capito.
Tuttavia, pur sempre di una mossa in extremis si tratta.
Prima di questa, nel processo di formazione delle prime liste dell’era
Renzi si erano riprodotti pari pari i vizi del Pd correntizio che s’era
detto di voler cancellare (con la partecipazione attiva di tutte le
componenti interne, nelle loro multiformi espressioni territoriali),
compresa l’automatica riproposizione di praticamente tutti gli
europarlamentari uscenti. Mentre non si può dire che particolari forze e
competenze nuove siano state destinate alla grande battaglia politica
che ci si è impegnati a condurre in Europa.
Poco male: si sa che il risultato del 25 maggio è in realtà nelle
mani del Renzi premier. L’importante è che, in un angolo della sua
testa, rimanga un appunto per il Renzi segretario: al Nazareno e in giro
per l’Italia devono ancora cambiare molte cose.
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