Corriere della Sera del 07/04/14
In queste ore alla presidenza del
Consiglio e al ministero dell’Economia si stanno facendo le ultime
verifiche sul testo del Def, il Documento di economia e finanza che
domani verrà approvato dal governo, il piano triennale che, nelle
intenzioni di Matteo Renzi, dovrà conciliare il rilancio della
crescita con il rispetto del percorso di risanamento dei conti
pubblici («non perché ce lo chiede l’Europa, ma per i nostri
figli»).
Al centro della manovra per il 2014 ci sarà il
taglio, da maggio, delle tasse di 80 euro al mese per i lavoratori
dipendenti che guadagnano fino a 1.500 euro netti, ha promesso lo
stesso presidente del Consiglio, per un costo su base annua di 10
miliardi. Per il periodo maggio-dicembre il governo deve quindi
trovare 6,6 miliardi per finanziare lo sgravio Irpef. Le coperture ci
sono tutte e verranno dai tagli di spesa, assicura Renzi. La
credibilità dell’operazione bonus in busta paga si misurerà, in
Italia e in Europa, proprio su questo, cioè su quanta parte delle
risorse necessarie a far salire gli stipendi medio-bassi verrà da
riduzioni permanenti della spesa pubblica.
Il presidente e il
titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan dovranno saper respingere
i veti dei ministri. Non ci possono essere capitoli di spesa esclusi
a priori, nemmeno la Sanità, dove gli sprechi sono doppiamente
gravi, perché tolgono risorse preziose che potrebbero essere
impiegate per migliorare un servizio fondamentale che, in tante parti
d’Italia, è a livelli ancora inaccettabili.
È vero, il
ministro della Sanità è impegnato in una trattativa con le Regioni
per un nuovo Patto per la Salute che faccia risparmiare «dieci
miliardi di euro in tre, quattro anni» da investire, spiega Beatrice
Lorenzin, nello stesso settore «in infrastrutture, ricerca,
personale e accesso alle cure più innovative». Non è un risultato
scontato, visto che anche in questa materia lo Stato, a causa del
Titolo V della Costituzione, deve scendere a patti col sistema delle
autonomie, ma è il minimo che si possa fare. Secondo il rapporto del
commissario per la revisione della spesa, Carlo Cottarelli,
l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Prodotto interno
lordo è salita dal 5,7% del 2000 al 7,1% del 2013. Dal 2009 le
uscite non crescono più, essendosi fermate intorno a 111 miliardi di
euro l’anno, ma il peso sul Pil, dice il commissario, deve scendere
se l’Italia vuole riuscire a ridurre le tasse. Si può fare, a
partire dall’applicazione di criteri uniformi negli acquisti (costi
standard), dalla famigerata siringa agli appalti più importanti. E
invece, proprio a causa della gestione inefficiente della Sanità,
metà delle Regioni sono commissariate, col risultato che i cittadini
pagano pesanti addizionali Irpef per coprire i buchi di bilancio. Il
tutto mentre il 50% degli assistiti e il 70% delle ricette sono
esenti dal pagamento del ticket, con punte dell’86% nel Sud. Uno
spreco inaccettabile ai danni degli onesti: prestazioni regalate agli
evasori mentre c’è chi non ha i soldi per andare dal dentista.
Il
Def che Renzi varerà domani sarà diverso dai precedenti solo se
conterrà un credibile percorso pluriennale di tagli strutturali
della spesa pubblica, come premessa di altrettanti tagli permanenti
delle tasse. Non ci possono più essere zone franche. È stato lo
stesso Renzi a dirlo, ponendo giustamente anche il tema delle spese
militari. Sanità e pensioni sono i principali capitoli di spesa del
bilancio. Tutti sappiamo che contengono ampie sacche di spreco.
Adesso vanno rimosse
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